Ipertensione Polmonare
Conoscere la malattia
L’ipertensione polmonare (IP) è una condizione patologica caratterizzata da un aumento della pressione del sangue all’interno dell’arteria polmonare, il vaso che trasporta il volume ematico dal cuore destro ai polmoni. La pressione normale nell’arteria polmonare ha un valore medio compreso tra i 12 e i 16 mmHg; parliamo di ipertensione polmonare quando questo valore è >25 mmHg a riposo.
Ricorderò sempre il 4 febbraio del 1998, il giorno in cui mi fu diagnosticata l’ipertensione polmonare idiopatica. Ero così sollevata. Conoscevo infine la causa dei miei sintomi. Dopo due anni di ricerche e delusioni il mio male aveva un nome! A causa del mio aspetto sano, i dottori non sembravano prendermi sul serio; in più i sintomi erano comuni a tante altre malattie: l’affaticamento e quella continua debolezza non mi lasciavano mai! Quando ormai avevo perso la speranza era arrivata la diagnosi. Ero felice, una pillola e tutto sarebbe ritornato a posto! Eppure il viso del dottore, dopo aver effettuato il cateterismo, era pallido e mio marito continuava a piangere accanto al mio letto. Allora pensai che si erano esageratamente commossi. Nessuno accennò alla gravità del male né mi fu data alcuna cura. Fui invitata invece a cercare un centro specializzato, gli stessi medici non sapevano indicarmelo.
Mi misi alla ricerca di un esperto e presto scoprii la verità: l’ipertensione polmonare era una malattia grave e progressiva che poteva portare al trapianto o alla morte. Capii allora lo sgomento dei miei… i loro silenzi. Per abituarmi alla nuova realtà credo di aver impiegato parecchi mesi, in più la difficoltà nell’imbattersi in una malattia rara per la quale, mi dicevano, non esserci cure specifiche. Nuove visite, nuovi dottori, qualche buon consiglio, nessuna cura. Ero impaurita, ma non rassegnata, non potevo non provare a lottare: avevo un male, dovevo affrontarlo! Non trovando informazioni sulla malattia in Italia, mi rivolsi all’estero, attraverso internet, ed iniziai la ricerca telefonica presso gli ospedali del nord. Fui fortunata, presto fui seguita da un centro specializzato ed accettai di partecipare ad uno studio per una nuova cura. Preziose informazioni sulla malattia le ho trovate sul sito della PHA – Associazione di ipertensione polmonare americana. Per la prima volta ho capito quanto fosse necessario creare anche in Italia un’associazione per aiutare i malati ad affrontare un male più grande di loro dove trovare le informazioni vitali non solo sull’ipertensione polmonare, ma su come e dove curarsi (all’epoca non esisteva nessun sito internet in italiano al riguardo ed anche la classe medica non sapeva dove indirizzare i pazienti). Durante i ricoveri, il confronto con altri pazienti mi convinse ulteriormente della necessità di condividere esperienze ed informazioni su una malattia che può produrre fragilità e dipendenza. L’AMIP è figlia di questa esigenza e vuole permettere a tutti di conoscere l’ipertensione polmonare, facilitando la vita a quei malati che, dopo la diagnosi, si trovano spesso senza punti di riferimento. Siamo alla seconda edizione di un manuale, nato dal bisogno di aiutare i malati e i familiari a convivere al meglio con l’IP, questa compagna inaspettata, e potrebbe essere utile a chiunque voglia approfondire la conoscenza della malattia. Rispetto alla prima edizione sono state introdotte informazioni di carattere scientifico più complete ed aggiornate. Ringraziamo di cuore gli specialisti che ci hanno aiutato mettendo a disposizione la loro competenza e che ci seguono da anni con professionalità e grande umanità. E’ molto importante per noi malati non sentirci abbandonati nella nostra lotta quotidiana contro la malattia e grazie a loro e alla nostra associazione nessuno dovrà sentirsi più solo. Nella speranza di aver svolto un lavoro utile, auguriamo a tutti BUONA LETTURA.
Maria Pia
La storia di Maria Pia è molto comune fra i malati di ipertensione polmonare (IP), e illustra in modo chiaro la necessità per il paziente non solo di avere una diagnosi tempestiva e corretta, ma anche di ottenere informazioni di buon livello sulla sua malattia, sul trattamento consigliato e sui risultati attesi. Questo manuale intende essere una parte di tale processo. Ad ogni modo, è utile ricordarlo, niente può sostituire il continuo e benefico dialogo tra il paziente, la famiglia ed il team di specialisti in IP. Se dunque IP è la diagnosi, che cosa intendiamo con la parola prognosi? Ci sono molte definizioni di questa parola, ma probabilmente la più utile è la seguente: “la prognosi è una previsione del percorso ed esito della malattia di un paziente, basata sulla conoscenza delle storie di malattia di altri pazienti, insieme ad una valutazione della salute generale, età e sesso del paziente”. Senza dubbio l’IP è una malattia seria, anche se non è una di quelle diagnosi che lasciano senza speranze per il futuro. Effettivamente l’IP può portare alle morte, ma proprio per questo deve essere correttamente diagnosticata, curata e gestita. Il fatto che tu stia leggendo questo libretto vuole probabilmente dire che tu, un tuo amico o anche un tuo parente ha “fortunatamente” avuto la diagnosi di IP. E’ un dato di fatto che molte persone con IP non riescono ad ottenere la corretta diagnosi e, di conseguenza, a loro viene negata una cura efficace e adeguata ed il relativo supporto. La diagnosi di IP, la conoscenza della malattia e delle sue possibili conseguenze, possono portare incertezza nella tua esistenza e provocare molte emozioni a te, ai tuoi familiari ed amici. La sensazione di avere un certo controllo sulla tua vita ti da un senso di sicurezza e ti permette di trarre piacere dalle cose che fai. E’ più che naturale voler sapere quello che ti potrebbe succedere, per pianificare il tuo futuro. Le emozioni che provi sapendo di avere l’IP potranno essere sempre presenti, oppure potranno andare e venire. Alle volte queste sensazioni sono molto intense e difficili da gestire. Puoi sentirti spaventato e ansioso, stanco, stressato, irascibile e arrabbiato. Puoi avere problemi di insonnia, difficoltà nella concentrazione e tendenza a stancarti facilmente. Magari può anche capitarti di stare bene e, subito dopo, di sentirti sopraffatto, spaventato, di aver una gran voglia di piangere. Tutto questo può farti sentire insicuro, vulnerabile, può farti perdere la fiducia in te stesso ed il senso del controllo. Qualunque siano i tuoi stati d’animo, comunque, avere informazioni sulla tua malattia potrà esserti molto utile. Alcune persone normalmente cercano di sapere tutto, mentre altre vogliono conoscere il minimo indispensabile. Noi tutti reagiamo in modi diversi, anche se le reazioni ed i vari livelli emozionali spesso seguono lo stesso percorso. Il semplice fatto di prendere coscienza, di cercare di capire le tue emozioni, potrà aiutarti ad affrontare la malattia.
Molte persone con una malattia seria come l’IP pensano di dover per forza reagire in modo “positivo”. Ma quando ti senti giù, quando vuoi parlare di argomenti difficili come la possibilità di essere curato, quando pensi di voler fare un testamento, essere “positivo” può essere molto difficile, se non addirittura dannoso.
Non devi temere le sensazioni di tristezza. Il provare sentimenti negativi non ritarderà la tua guarigione, né farà peggiorare l’ipertensione polmonare. Quando parli con altre persone affette da IP anche i più ottimisti ammetteranno di aver passato dei momenti brutti, di essersi sentiti depressi e ansiosi. Nessuno può essere positivo al 100% del tempo e, pertanto, è importante tenere presente che nei momenti difficili non si può avere tutto sotto controllo. Assumere un atteggiamento positivo non vuol dire essere allegri e felici sempre; è ancora più positivo, e richiede coraggio, ammettere di essere stanchi, ansiosi, depressi od arrabbiati.
Essere positivi vuole anche dire che è perfettamente normale piangere e confessare i propri stati d’animo quando il percorso diventa difficile; a volte ti sembrerà tutto troppo pesante da sopportare, e ti domanderai: “quando finirà tutto questo?”. Le lacrime sono una risposta naturale nei momenti difficili e spesso sono una importante valvola di sfogo: ci si sente molto meglio dopo un bel pianto.
Pensare positivo ha un significato diverso per persone diverse, ma di solito vuol dire saper accettare, confrontarsi e gestire la malattia. Le persone ci arrivano seguendo percorsi diversi.
Alcuni vogliono sapere tutto sulla propria terapia leggendo, navigando in Internet, parlando con molte persone e diventando protagonisti attivi del loro trattamento. Altri si accontentano di lasciare a medici e infermieri la somministrazione della terapia e si fidano delle loro capacità. All’altro estremo troviamo persone che vogliono continuare a vivere normalmente, evitando di pensare o di parlare della malattia e del trattamento.
Non esiste la via giusta per affrontare l’ipertensione polmonare. Ognuno trova la propria strada. Se ti senti stanco e triste comunque devi saperlo accettare, non cercare solo di cambiarlo. È importante ricordare che tutte le emozioni e i pensieri passano e, con il tempo, anche tu ti sentirai meglio.
Cerca di parlare liberamente del tuo stato d’animo, e piangi se ne hai
bisogno. Ti aiuterà a liberare stress e tensioni, e potrebbe anche avvicinarti di più alla persona con cui ti stai confidando. Se hai difficoltà nel parlare chiaramente con le persone della tua famiglia, potresti parlare con qualcuno all’esterno, ad esempio con le infermiere del tuo centro di cura IP; puoi anche rivolgerti all’Associazione dei malati che è al tuo servizio e confrontarti con altri pazienti, o partecipare a gruppi di auto-aiuto.
Essere malati di Ipertensione Polmonare (IP) significa avere la pressione del sangue elevata all’interno dei vasi polmonari. Questo valore di pressione è diverso e non è correlato con la pressione sistemica che viene misurata da uno strumento applicato al braccio del paziente. Il sistema circolatorio è costituito da due componenti: il circolo sistemico, rifornito dal ventricolo sinistro, e il circolo polmonare, rifornito dal ventricolo destro. Il sangue povero di ossigeno e ricco di anidride carbonica, proveniente dai tessuti di tutto il corpo, torna al cuore destro tramite due grandi vene. Il sangue, dal ventricolo destro, viene espulso nell’arteria polmonare e nei capillari polmonari per permettere gli scambi gassosi a livello degli alveoli, che sono le com- ponenti aeree del polmone. Per fare in modo che gli scambi gassosi avvengano in modo adeguato, la superficie di contatto tra i piccoli vasi polmonari (capillari) e gli alveoli è molto ampia. Per questo motivo la pressione nel circolo polmonare è circa otto volte più bassa rispetto alla circolazione sistemica che porta il sangue a tutti gli organi (cervello, muscoli, cute, reni, intestino).
L’ipertensione polmonare è caratterizzata da un aumento della pressione nel circolopolmonare. Questa condizione può essere secondaria ad altre malattie: pneumopatie, malattie del cuore sinistro, trombo- embolia polmonare. L’ipertensione arteriosa polmonare (IAP), invece, è una malattia che progredisce c on rapidità ed è causata da una diffusa ostruzione dei vasi polmonari, dovuta ad una condizione patologica che colpisce direttamente il sistema vascolare polmonare. È definita ipertensione arteriosa polmonare idiopatica quando non è possibile riconoscere alcuna causa; più frequenti sono situazioni in cui l’ipertensione arteriosa polmonare è associata ad altre patologie: malattie del connettivo (sclerodermia, lupus), del fegato (ipertensione portale), infezioni virali (HIV), cardiopatie congenite. In queste malattie i vasi polmonari sono in gran parte ostruiti per un ispessimento della parete e per la coagulazione del sangue al loro interno, causando una notevole riduzione del circolo vascolare polmonare ed un enorme aumento della resistenza al flusso di sangue; la pressione nel- l’arteria polmonare può aumentare di 3-4 volte rispetto ai valori normali. In questa situazione la parte destra del cuore si adatta con difficoltà al maggior carico di lavoro, tende a dilatarsi e può non essere in grado di pompa- re un’adeguata quantità di sangue nel circolo polmonare.
L’ipertensione polmonare influisce fortemente sulla vita delle persone; la stanchezza e la sensazione d’affanno (dispnea) che l’accompagnano possono compromettere fortemente lo svolgimento di una vita quotidiana normale. Le persone colpite dalla malattia lamentano difficoltà respirato- rie, provano senso di affanno per sforzi lievi o addirittura quando sono a riposo. All’affanno si aggiunge il problema della ritenzione di liquidi che si manifesta, ad esempio, con gonfiore alle caviglie, senso di pesantezza all’addome e con un aumento di dimensioni del fegato.
Senza diagnosi e cure l’IP è una malattia grave. Oggi, con le terapie disponibili, la prognosi è nettamente migliorata, ma un trattamento precoce rimane indispensabile. Quasi sempre, purtroppo, ci vogliono circa due anni prima di avere una diagnosi corretta ed una terapia adeguata.
L’Ipertensione Polmonare Idiopatica e Secondaria Se una malattia preesistente cardiaca o polmonare (come una malattia delle valvole cardiache, una cardiomiopatia, la bronchite cronica, l’enfisema, la fibrosi interstiziale) ha provocato l’IP, i medici possono dire che vi è un’iper- tensione polmonare secondaria, in quanto dovuta ad un’altra malattia. Quando l’IP non è stata provocata da altre malattie conosciute, i medici la chiamano ipertensione arteriosa polmonare idiopatica (in passato definita “primitiva”). In questo manuale, se non è indicato differentemente, il termine IP viene usato per indicare sia l’una che l’altra forma.
Chi ne viene colpito?
Sia gli uomini che le donne possono essere affetti da IP ma la forma di ipertensione arteriosa polmonare idiopatica è circa due o tre volte più comune nelle donne che negli uomini. La malattia può cominciare a qualsiasi età, alla nascita o dopo la pensione. Colpisce persone di tutte le razze. Per ragioni sconosciute di solito coinvolge maggiormente le donne in età fertile.
Le forme di ipertensione polmonare secondaria ad altre patologie sono molto più diffuse rispetto alla ipertensione arteriosa polmonare idiopatica.
Dentro i polmoni
Il problema può cominciare nello strato di cellule (cellule endoteliali) che rivestono le piccole arterie che distribuiscono il sangue nei polmoni. Queste arterie sono dello spessore di circa un capello. Nella IAP idiopatica non sappiamo esattamente quale sia la causa che scateni il cambiamento strutturale della parete delle piccole arterie polmonari. Potrebbe essere un danno a livello delle cellule endoteliali che si “irritano” e reagiscono moltiplicando- si e producendo sostanze che causano una contrazione delle cellule muscolari che costituiscono lo strato più interno della parete. Se il danno persiste anche le cellule muscolari iniziano a moltiplicarsi. Può formarsi del tessuto fibroso che sostituisce parte della parete della piccola arteria. Sfortunatamente il processo, una volta iniziato, innesca un circolo vizioso che alimenta se stesso. In seguito a queste modifiche la circolazione sanguigna rallenta e diviene più probabile la formazione di coaguli, che renderebbero il circolo polmonare ancora più ridotto. Se immaginiamo un sistema di tubi, questo equivale a dire che il liquido deve passare attraverso tubi (vasi polmonari) più stretti e per garantire tale passaggio la pompa (il cuore) dovrà esercitare un lavoro maggiore. I vasi sanguigni in un polmone normale formano un disegno simile ad un albero con un’ ampia ramificazione che si assottiglia progressivamente verso la periferia. In una persona con IAP, il restringimento dei vasi provoca una potatura dei ramoscelli in entrambi i polmoni.
L’effetto potatura della IP sulle piccole arterie dei polmoni. Di solito un paziente con IP presenterà la potatura in entrambi i polmoni.
Dentro il cuore
Il cuore è diviso in quattro camere. La camera chiamata “ventricolo destro” pompa sangue non ossigenato dentro l’arteria polmonare, che lo porta ai polmoni dove si ossigena. Da qui il sangue attraverso le vene polmonari arriva all’atrio sinistro e riempie il ventricolo sinistro da dove viene espulso nella circolazione sistemica per raggiungere i vari organi (dove cede l’ossigeno).
In caso di ipertensione polmonare, il ventricolo destro deve lavorare di più per spingere il sangue attraverso il circolo polmonare, dove il diametro dei vasi è patologicamente più stretto rispetto al normale. Quindi, come fa ogni muscolo sottoposto a molto lavoro, il ventricolo si ingrandisce e le sue pareti si ispessiscono. Ma, il ven, tricolo destro non essendo in grado di sopportare un carico di lavoro così grande (normalmente la pressione al suo interno è solo il 20-25% di quella del ventricolo sinistro) finisce per lavorare con meno efficienza. Quando la pressione nei polmoni diminuisce (a causa di un trattamento medico adeguato o attraverso la cura della malattia che ha provocato l’IP) il cuore tende a migliorare la sua funzione. Quando il ventricolo destro non riesce più a svolgere la sua azione di pompa può iniziare la ritenzione di liquidi, specialmente nelle gambe, nel fegato e negli spazi che circonda- no i polmoni. Questa situazione è chiamata “insufficienza cardiaca congestizia del cuore destro”.
La pressione del sangue subisce delle variazioni ad ogni battito cardia- co. Ha un acme (pressione sistolica o massima) nel momento in cui il vaso riceve il volume di sangue e tende poi a scendere prima del battito successivo (pressione diastolica o minima). La pressione media è un valore cal- colato che rappresenta la forza media che spinge il sangue in circolo.
La pressione arteriosa polmonare (PAP) media di una persona sana a riposo è circa 12-14 mmHg. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha definito l’ipertensione polmonare come un aumento della PAP media maggiore o uguale a 25 mmHg. Tale valore di riferimento non va confuso con la pressione arteriosa polmonare sistolica, che sarà espressa da un valore numerico più alto rispetto alla PAP media. Il valore di pressione polmonare non è l’unico parametro a determinare la severità della malattia, molto impor- tante risulta la capacità del cuore destro di adattarsi e funzionare nonostante l’IP.
L’ipertensione polmonare (IP) è una condizione patologica caratterizzata da un aumento della pressione del sangue all’interno dell’arteria polmonare, il vaso che trasporta il volume ematico dal cuore destro ai polmoni. La pressione normale nell’arteria polmonare ha un valore medio compreso tra i 12 e i 16 mmHg; parliamo di ipertensione polmonare quando questo valore è >25 mmHg a riposo.
È stata creata una classificazione che ha lo scopo di raggruppare le varie forme di IP in base al comune meccanismo che ha portato allo sviluppo della malattia e di conseguenza allo stesso percorso terapeutico che può essere intrapreso. Ciò permette di descrivere in maniera più chiara le alterazioni che caratterizzano la malattia e soprattutto di assegnare una terapia corretta a seconda del gruppo della classificazione. Tutte le terapie che sono descritte in questo manuale hanno ricevuto l’approvazione per alcune forme di ipertensione polmonare ma non per altre.
Classificazione diagnostica dell’ipertensione polmonare (Dana Point, 2008):
1. Ipertensione Arteriosa Polmonare
- Idiopatica
- Ereditaria (BMPRII,ALK1, altre)
- Farmaci e tossine
- Associata a :
Malattie del connettivo Infezione HIV Ipertensione portale Cardiopatie congenite Schistosomiasi
Anemia emolitica cronica - Ipertensione persistente del neonato
- IAP con compromissione venulare/capillare
- IP secondaria a malattie del cuore sinistro
disfunzione sistolica o diastolica del ventricolo sinistro
Valvulopatie - IP secondaria a malattie dell’apparato respiratorio e/o ipossiemia
Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
Interstiziopatie
Apnee notturne - IP da altidudine
Alterazioni dello sviluppo - IP secondaria a tromboembolia cronica
Operabile
Non operabile
Miscellanea
Disordini mieloproliferativi, sarcoidosi, neurofibromatosi, istiocitosi X, linfangioleiomiomatosi, vasculiti ecc.
I GRUPPO: IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE (IAP)
Tutte le forme di IAP appartenenti al primo gruppo della classificazione sono accomunate dalle stesse alterazioni a carico delle cellule che rive- stono i vasi polmonari. Tali alterazioni comportano ostruzione delle pic- cole arterie, secondaria alla proliferazione delle cellule che rivestono il vaso e alla formazione di piccoli trombi. Ciò determina un grosso ostacolo al flusso di sangue e un conseguente aumento della pressione polmonare. Il sesso femminile è più colpito; l’età con maggiore pre- valenza di malattia è tra la terza e la quarta decade di vita, ma non vengo- no risparmiati soggetti in età pediatrica o anziani. Negli altri gruppi della classificazione l’IP è una conseguenza di altre malattie.
IAP idiopatica
La IAP idiopatica è una malattia rara ed è la forma più grave di ipertensione arteriosa polmonare. In questo tipo di IAP le cause che portano alle tipiche modifiche dei vasi sanguigni del polmone non si conoscono, viene pertanto definita “idiopatica” (in passato nota come “primitiva”).
IAP ereditaria
L’IAP è una malattia complessa, causata da tanti fattori, in cui può esiste- re una predisposizione genetica che conferisce una particolare risposta
dei vasi del polmone a stimoli di varia natura. La IAP è ereditaria nel 7-10% dei casi. Si ritiene che vari geni possano essere coinvolti nello sviluppo della malattia, tra questi ne sono stati individuati alcuni che producono dei recettori cellulari coinvolti nella distruzione e moltiplicazione delle cellule. Uno dei geni coinvolti nella IAP familiare è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 2, specificatamente 2q31-32. Il gene è autosomico dominante con penetranza incompleta (autosomico significa che non è sul cromosoma x o y che determina il sesso; dominante vuol dire che basta un genitore per trasmetterlo; con penetranza incompleta si intende che anche se possiedi quel gene puoi non sviluppare l’IAP). La malattia presente in una famiglia a volte può saltare delle generazioni, ma nella progenie successiva tende ad essere più grave ed a manifestarsi in età sempre più precoce (anticipazione genetica). Le donne con il gene sembrano più soggette a sviluppare la malattia di quanto non siano gli uomini. Una predisposizione allo sviluppo della IAP può derivare anche da alterazioni genetiche sporadiche.
Farmaci e tossine
Nei pazienti che hanno assunto farmaci anoressizzanti, che agiscono provocando una perdita di appetito, (aminorex, fenfluramina, dexfenfluramina) la prevalenza della malattia è piuttosto bassa (1 caso ogni 10.000-17.000 soggetti) ma può variare in base alla durata di esposizione alla sostanza tossica. Se la malattia è causata dall’assunzione di questi farmaci, l’IP rientra nel gruppo dell’ipertensione arteriosa polmonare. Un improvviso aumento in Europa di IAP fra gli anni 1967 e 1973 è stato collegato alla diffusione di queste pillole. L’aumento di questa patologia negli Stati Uniti negli anni ’90, ha portato le industrie farmaceutiche che producevano queste compresse a ritirarle dal mercato (settembre 1997). Pertanto, se nel corso della vita si sono assunti farmaci per dimagrire, è consigliato effettuare un controllo medico. Talvolta l’IAP correlata all’assunzione di fenfluramina o dexenfluramina compare dopo un periodo di latenza dalla sospensione della terapia; in molte persone può non essere evi- dente fino a due anni dopo.
Droghe come la cocaina e le metanfetamine possono in rari casi causa- re IAP, con un meccanismo non ancora chiaro.
Anche l’assunzione di olio alimentare contaminato, L-triptofano e l’ingestione della crotalaria sono associate all’IAP.
IAP associata a malattie del tessuto connettivo
La prevalenza di ipertensione arteriosa polmonare nelle malattie del connettivo è molto più alta rispetto a
quanto si verifichi in altre malattie. La sclerodermia è la principale malattia del connettivo associata all’iper- tensione arteriosa polmonare, ma anche l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico (LES), la sindrome CREST, le vasculiti, la connettivite mista e la sarcoidosi, possono portare alla IP, sia attraverso il coin- volgimento dei vasi sanguigni che progressivamente si ostruiscono, sia determinando una fibrosi polmonare.
IAP associata ad infezione da HIV L’infezione da HIV può associarsi, in rari casi, alla IAP attraverso meccanismi poco conosciuti. La IAP si può presentare in ogni stadio della malattia e le modifiche a cui vanno incontro i vasi sanguigni del polmone sono molto simili a quelle che si osservano nella IAP idiopatica.
IAP associata ad ipertensione portale La cirrosi epatica, in rari casi, può associarsi all’ipertensione arteriosa polmonare attraverso meccanismi poco conosciuti, ma in parte legati all’elevato flusso di sangue attraverso il polmone.
IAP associata a cardiopatie congenite La presenza di difetti congeniti a livel- lo delle varie strutture che formano il cuore può causare IAP. Tali imperfezioni permettono il passaggio di sangue dal cuore sinistro, a pressione maggiore, al cuore destro, a pressione minore, con un conseguente aumento del flusso di sangue nei polmoni. A lungo andare questo mecccanismo può portare alla Sindrome di Eisenmenger: le arterie polmonari sottoposte ad un costante aumento di flusso di sangue e pressione vanno incontro ad alterazioni anatomiche irreversibili, che determinano una vasocostrizione delle piccole arterie e una proliferazione delle cellule che rivestono i vasi con progressivo restringimento degli stessi. Quando ciò accade le resistenze nei vasi del polmone diventano maggiori rispetto alle resistenze del circolo sistemico e il passaggio di sangue va dal cuore destro, divenuto a pressione maggio- re, al cuore sinistro. L’inversione del flusso di sangue determina un’immissione di sangue venoso, non ossigenato, nel circolo sistemico e il paziente diviene cianotico.
E’ importante riparare chirurgicamente le anomalie congenite del cuore prima che si sviluppino queste modifiche permanenti del circolo polmonare, perchè quando ciò è accaduto il difetto non può più esse- re corretto.
IAP con compromissione venulare-capillare
Più raramente si può riscontrare associato all’ipertensione arteriosa polmonare un quadro di malattia polmonare veno-occlusiva in cui lo
stesso rimodellamento del distretto arteriolare tipico della ipertensione arteriosa polmonare, coinvolge il distretto delle piccole vene polmonari. Il riconoscimento di questa forma è di estrema importanza in quanto rappresenta una controindicazione al trattamento con i farmaci specifici per l’ipertensione arteriosa polmonare per il rischio di episodi di edema polmonare.
GRUPPO: IPERTENSIONE POL- MONARE SECONDARIA A MALATTIE DEL CUORE SINISTRO
Il cuore sinistro è costituito dall’atrio sinistro, che raccoglie il sangue ossi- genato proveniente dai polmoni, e dal ventricolo sinistro, che pompando il sangue all’interno dell’aorta fornisce ossigeno e nutrienti a tutti gli organi del corpo. Diverse malattie sia a carico delle valvole cardiache (mitrale e aortica) che del ventricolo sinistro (disfunzione sistolica e/o diastolica) possono causare IP. Queste patologie provocano prima un aumento della pressione sanguigna nelle vene polmonari, che tra- sportano il sangue ossigenato dai polmoni all’atrio sinistro, e secondariamente nelle arterie polmonari.
In queste forme non è indicato l’utilizzo dei farmaci specifici per l’iper- tensione arteriosa polmonare, ma il trattamento è limitato a trattare la disfunzione del cuore sinistro.
GRUPPO: IPERTENSIONE POLMONARE SECONDARIA A MALAT- TIE DEL PARENCHIMA POLMONARE
L’enfisema, la bronchite cronica e la fibrosi polmonare sono tra le cause più frequenti di IP, anche se fortunatamente sono le forme meno gravi. Queste malattie coinvolgono secondariamente la parte vascolare del polmone che viene distrutta o tra- sformata in tessuto fibroso, riducendo complessivamente il numero di vasi sanguigni funzionali e provocando un aumento della pressione in arteria polmonare. La terapia deve mirare a migliorare la malattia polmonare.
In alcuni casi l’aumento della pressione nei vasi polmonari è sproporzionato rispetto alla malattia polmonare. Pertanto sono attualmente in corso degli studi atti a valutare l’effi- cacia dei farmaci specifici in queste forme di ipertensione polmonare.
GRUPPO: IPERTENSIONE POL- MONARE SECONDARIA A TROMBO- EMBOLIA POLMONARE
La tromboembolia polmonare è causata dalla presenza di coaguli di sangue (tromboemboli) all’interno dei vasi del circolo polmonare. Di solito i coaguli si formano in una vena delle gambe e staccandosi arrivano ai polmoni, dove rimangono intrappolati nei vasi, ostacolando il passaggio del sangue, con conseguente aumento
della pressione polmonare. Varie condizioni favoriscono lo sviluppo di trombi: traumi, interventi chirurgici, stasi venosa, varici, flebiti, immobili- tà, gravidanza, malattie invalidanti, scompenso cardiaco congestizio, ipercoagulabilità che può derivare da alterazioni delle proteine della coagulazione o dalla presenza di alcuni anticorpi o ancora dall’assunzione di contraccettivi orali (prima della metà degli anni ’80, quando le pillole anti- concezionali contenevano una dose più alta di ormoni, l’embolia polmonare era un rischio più frequente), neoplasie maligne.
Solitamente i coaguli si dissolvono in seguito ad una terapia appropriata (anticoagulanti). Solo raramente il paziente svilupperà in seguito l’IP.
GRUPPO: MISCELLANEA
Comprende vari tipi di malattie che hanno alla base meccanismi molecolari differenti tra loro: disordini mieloproliferativi, sarcoidosi, neurofibromatosi, istiocitosi X, linfangioleiomiomatosi, vasculiti, patologie della tiroide ecc.
Di solito, i pazienti affetti da ipertensione polmonare lamentano sintomi quali affanno (dispnea) ed eccessiva stanchezza, a volte ritenzione di liquidi con conseguenti edemi declivi e pesantezza all’addome. I sintomi possono manifestarsi durante lo svolgimento di esercizi leggeri o più semplicemente durante una passeggiata, ma a volte anche a riposo. Questi sintomi vengono descritti come “non specifici”, perché possono essere causati anche da altre malattie e non soltanto dall’IP. Pertanto, è abbastanza difficile diagnosticare l’IP nella fase iniziale. Spesso intercorre un lungo lasso di tempo tra la prima visita dal medico e il momento in cui il paziente riceve le cure specialistiche presso l’ospedale. Non esiste un test diagnostico unico che indichi in modo preciso la presenza di IP; nell’indagare l’origine dell’affanno, dunque, è importante prendere in considerazione tutte le malattie che vi sono associate, come le malattie del cuore e dei polmoni. Il processo di indagine che porta all’esclusione di altre malattie che possono provocare affanno va sotto il nome di diagnosi differenziale. Per i pazienti con sospetta IP vi sono vari test iniziali da intraprendere per poter confermare la diagnosi. La storia della malattia attuale, l’anamnesi, la storia familiare, i farmaci assunti in passato ed attualmente, debbono tutti essere discussi nel primo colloquio tra il paziente e l’equipe di specialisti. Durante la prima visita occorre fare un esame generale delle condizioni fisiche del paziente. Altri test utilizzati nella valutazione del paziente con sospetta IP possono comprendere:
- Elettrocardiogramma (ECG);
- Radiografia del torace (RX del torace);
- Ecocardiogramma (Eco);
- Prove di funzionalità respiratoria (PFR);
- Test sotto sforzo e test cardio polmonare;
- Scintigrafia polmonare ventilatoria e perfusionale;
- Tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRTC);
- Risonanza magnetica (RMN);
- Angiografia polmonare;
- Cateterismo cardiaco.
Nel corso dei vari test è possibile avere indicazioni che portano a diagnosticare o anche ad escludere l’IP. A seconda dei risultati, l’équipe di medici potrà decidere di tentare un approccio diverso nelle ulteriori indagini.
Elettrocardiogramma (ECG)
L’elettrocardiogramma è un esame non invasivo che viene utilizzato per registrare l’attività elettrica del cuore. È un test semplice e rapido, la sua esecuzione richiede pochi minuti mentre il paziente è sdraiato supino, in condizioni di riposo. Il merito della sua scoperta va ascritto a William Einthoven, un fisiologo tedesco, che nei primi anni del ‘900 sviluppò la tecnica ancora oggi utilizzata nella pratica clinica. Quando il cuore viene stimolato elettricamente, si contrae. Lo stimolo elettrico viene prodotto da cellule cardiache specializzate ad iniziare e a condurre (sistema di conduzione) tale segnale. Normalmente lo stimolo elettrico inizia in un punto localizzato nella parete superiore dell’atrio destro, il nodo senoatriale, e poi si diffonde prima agli atri e poi ai ventricoli. L’elettrocardiogramma registra la formazione e la conduzione degli impulsi elettrici che stimolano la contrazione cardiaca. L’ECG viene registrato grazie a sensori (elettrodi) collocati sulla cute del paziente, posti in vari punti del torace, delle braccia e delle gambe. Tali elettrodi sono collegati ad un dispositivo che misura il voltaggio. In un paziente con ipertensione polmonare l’ECG può mostrare segni di sovraccarico dell’atrio e/o del ventricolo destro.
Radiografia del torace (RX del torace)
La radiografia del torace è il risultato del passaggio di raggi X nel corpo e permette di visualizzare sia i polmoni sia la forma e le dimensioni del cuore. L’apparato respiratorio, da un punto di vista radiologico, ha una situazione di privilegio rispetto agli altri apparati, contiene in prevalenza aria la quale determina un contrasto naturale in grado di evidenziare, con il semplice esame diretto, molti particolari della sua struttura. La radiografia si effettua con il paziente in posizione eretta tra un pannello ed una lastra fotografica, su cui verrà impressa e sviluppata l’immagine. Normalmente sono necessarie due diverse proiezioni del torace. In particolare si ricorre ad una proiezione postero anteriore (il fascio di raggi X penetra dal dorso e fuoriesce dal petto del paziente, che poggia direttamente sulla cassetta radiografica) e ad una latero laterale. Il risultato di questo esame è un radiogramma, in cui le parti più scure o radiotrasparenti (colore nero) sono quelle con il maggior contenuto di aria, mentre le aree più tendenti al bianco o radiopache sono quelle occupate dagli organi (cuore, vasi sanguigni, ecc.) o da strutture con una maggiore densità rispetto all’aria. Questo esame può fornire indizi sulla presenza di varie patologie che possono causare affanno (enfisema o fibrosi polmonare) oppure può mostrare anomalie a carico del cuore e del circolo polmonare, alcune delle quali indicative d’ipertensione polmonare. Tuttavia, molti pazienti con IP in fase iniziale hanno una radiografia del torace normale. Invece, nelle fasi più avanzate della malattia si può osservare un ingrandimento delle sezioni destre del cuore, dovuto al sovraccarico di lavoro a cui è sottoposto il ventricolo destro a causa dell’aumento di pressione in arteria polmonare. Si può osservare anche una dilatazione dell’arteria polmonare e dei suoi rami principali a cui segue un restringimento dei rami più periferici (aspetto “ad albero potato”). In ogni caso, per arrivare ad una dia- gnosi più precisa, sono necessari test diagnostici più accurati, che permettano di visualizzare meglio il parenchima e la circolazione polmonare.
Ecocardiogramma (ECO)
L’ecocardiogramma è un esame che permette la visualizzazione del cuore, utilizzando gli ultrasuoni (onde acustiche con frequenza superiore a 20.000 cicli/secondo, quindi non udibili all’orecchio umano). Il prefisso “eco” deriva dal fatto che l’immagine ottenuta da questo test dipende dalla componente del fascio ultrasonoro che viene riflessa dall’organo o dai tessuti corporei. L’ecocardiogramma permette di otte- nere informazioni morfologiche (dimensioni delle camere cardiache, spessori parietali, forma e movimento delle strutture valvolari, difetti congeniti del cuore) e funzionali (contrattilità dei ventricoli, flussi di sangue attraverso le valvole, volume del sangue espulso ad ogni battito) spesso determinanti ai fini diagnostici. Può essere effettuato a riposo o sotto sforzo e può essere trans-toracico o trans-esofageo a seconda di quali informazioni si vogliono ricavare. L’ecocardiogramma trans-toracico si esegue utilizzando un gel per la trasmissione degli ultrasuoni, che vengono emessi da una piccola sonda (trasduttore) che viene posizionata sul torace del paziente. Le onde sonore emesse dal trasduttore vengono riflesse dalle strutture del cuore e dei vasi e vengono di nuovo captate dal trasduttore che le trasforma in immagini, visibili in un monitor. Per valutare l’ipertensione polmonare si esegue un ecocardiogramma trans-toracico con il paziente sdraiato sul fianco. Con questo esame si può avere una stima della pressione sistolica in arteria polmonare (PAPs) valutando la velocità del rigurgito del sangue attraverso la valvola tricuspide non continente (insufficienza valvolare). Il valore della stima della pressione sistolica in arteria polmonare non va confusa con il valore medio della pressione in arteria polmonare (PAPm) misurato con il cateterismo cardiaco destro. I vantaggi di questo esame sono la sua assoluta innocuità, la praticità e rapidità di esecuzione, il costo globale contenuto. Il difetto principale è la dipendenza del risultato dalla perizia dell’operatore.
Test di funzionalità respiratoria (spirometria) La spirometria è un test che fornisce informazioni sulla quantità di aria che i polmoni riescono a ventilare, cioè a spostare al loro interno (inspirazione) e all’esterno (espirazione). Questo esame permette di distinguere tra malattie polmonari ostruttive, che determinano un aumento della resistenza delle vie respiratorie al passaggio dell’aria, e malattie polmonari restrittive, nelle quali qualcosa interferisce con l’espansione dei polmoni. I pazienti con ipertensione polmonare possono non avere nessuna alterazione delle prove di funzionalità respiratoria ad eccezione di una severa riduzione della capacità di diffusione di un gas, l’anidride carbonica (CO). Questo parametro è indice di una compromissione dei vasi del polmone, tipica dell’ipertensione polmonare.
Test da sforzo (test cardiopolmonare e test dei 6 minuti) Solitamente i pazienti con IP vengono sottoposti a diversi tipi di esercizio fisico. Ci sono vari test che servono a verificare se c’è una ridotta tolleranza allo sforzo e che, a volte, forniscono indicazioni sulle cause dei sintomi manifestati dal paziente. Nei casi di IP, questi test vengono spesso utilizzati per misurare la tolleranza allo sforzo del malato all’inizio di una terapia e per vedere se quest’ultima migliora o peggiora nel tempo. In alcuni casi l’esercizio viene eseguito su un tappto rotante o su una bicicletta fissa, indossando una maschera su naso e bocca (test cardiopolmonare). Questo esercizio permette ai medici di misurare l’utilizzo di ossigeno da parte del paziente, e indica il livello di efficienza del sistema cardiovascolare e respiratorio nell’ossigenare il sangue e nel trasportare l’ossigeno verso i muscoli. Il test da sforzo può inoltre aiutare a individuare la presenza e la gravità di malattie coronariche ed altre disfunzioni del cuore. Il test della marcia dei 6 minuti valuta la massima distanza percorribile dal paziente in 6 minuti. Pur non essendo un test diagnostico specifico, se utilizzato insieme ad un’attenta valutazione della storia e delle condizioni fisiche del paziente, può servire a misurare la sua capacità di esercizio e a determinare il suo stato funzionale durante il trattamento medico. Lo “Shuttle Test” è simile al test del cammino di 6 minuti, ma la persona deve camminare avanti e dietro in un percorso di 10 metri a velocità sempre maggiori, fino a quando non accusa dispnea. Durante queste prove ai pazienti viene spesso richiesto di indossare un saturimetro collocato o sul dito della mano o sul lobo dell’orecchio, per misurare la quantità di ossigeno nel sangue. Infatti in caso di IP i livelli di ossigeno possono ridursi al di sotto della norma nel corso delll’esercizio fisico. In conclusione i test sotto sforzo forniscono ai medici indicazioni sulla gravità della malattia e costituiscono uno strumento per verificare l’efficacia della terapia.
Scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria.
Lo studio della ventilazione e perfusione del polmone tramite scintigrafia ha un ruolo importante nello studio della sospetta presenza di emboli nelle diramazioni delle arterie polmonari. Gli emboli polmonari sono nella maggior parte dei casi degli aggregati di piastrine e fibrina che si sono formati nelle vene degli arti inferiori ed hanno raggiunto la circolazione polmonare. La presenza di coaguli nei polmoni può causare l’IP ma non ne rende certa la diagnosi; pertanto l’embolia polmonare può avere un ruolo significativo sulla decisione di effettuare ulteriori indagini. La scintigrafia polmonare è condotta in due fasi: la prima, ventilatoria, fornisce indicazioni sulla ventilazione regionale polmonare e la seconda, perfusoria, serve a misurare il flusso del sangue (perfusione) in tutte le zone del polmone. Nella fase di ventilazione il paziente, attraverso una maschera, inspira gas radioattivi con particelle di dimensioni sufficientemente piccole da consentire il deposito negli spazi alveolari. Poi la scansione dei polmoni permette di individuare la posizione di tali particelle (radioisotopi). Il dosaggio della sostanza radioattiva utilizzata è molto basso. Nella fase di perfusione al paziente viene posta una piccola agocannula in una vena dell’avambraccio, che permette di iniettare aggregati di sieroalbumina umana marcata, i quali, in ragione del loro diametro, embolizzano in ciascun segmento polmonare in modo proporzionale al flusso ematico. Mentre il sangue scorre nei polmoni la macchina fa una scansione che serve ad individuare le posizioni delle particelle radioattive. Il test di scansione V/Q produce una serie di immagini, che mostrano i polmoni da diverse angolature, che aiutano i medici ad osservare la regolarità del flusso d’aria e di sangue. In condizioni normali si ha distribuzione uniforme in tutti i segmenti polmonari. In condizioni di alterata ventilazione o perfusione si osservano aspetti lacunari segmentari o non segmentari. I risultati vengono classificati come probabilità bassa, media o alta di embolia polmonare.
Tomografia Computerizzata ad Alta Risoluzione (HRTC) e Angio-TC
Con la TC (tomografia computerizzata) si ottengono immagini molto più dettagliate rispetto alle normali radiografie. Con questa tecnica l’immagine è costruita in base all’attenuazione di un fascio di raggi X in infinite traiettorie attraverso lo strato corporeo in studio. Pertanto uno scanner TC è un particolare tipo di strumento a raggi X che, invece di inviare un singolo fascio di raggi X attraverso il corpo come nelle normali radiografie, invia vari fasci simultaneamente e di diverse angolazioni. Questo permette di ottenere una migliore visualizzazione delle strutture corporee. I raggi X attraversano il corpo ed il loro assorbimento è misurato dal dispositivo. Un computer utilizza queste informazioni per calcolare la densità relativa del tessuto esaminato. Ogni gruppo di misurazioni fatte dallo scanner è una sezione sottilissima del corpo (in questo caso del torace del paziente). Il computer elabora i risultati e proietta sul monitor un’immagine bidimensionale. Questo esame viene utilizzato anche per escludere alcune malattie comuni dei polmoni che potrebbero essere la causa dell’affanno, come l’enfisema o la fibrosi. Durante il test il paziente si sdraia su un letto, mentre la parte del corpo da esaminare viene posta nell’apertura dello scanner (un anello del diametro di circa 1,5 m). Il letto si sposta in modo da permettere l’acquisizione delle varie sezioni del corpo che devono essere studiate. In alcuni casi, prima del test, può essere iniettato nel sangue dei pazienti un mezzo di contrasto che viene utilizzato per evidenziare i vasi sanguigni del corpo, ed in particolare quelli polmonari, e permette di individuare eventuali anomalie di riempimento. L’iniezione del mezzo di contrasto avviene per mezzo di un’agocannula inserita in una vena dell’avambraccio. Una minoranza di pazienti può risultare allergica al mezzo di contrasto, quindi prima di effettuare il test, bisogna sempre comunicare eventuali reazioni allergiche precedentemente verificatesi. Il tempo necessario per il test dipende dal numero di immagini da registrare e dalle diverse angolature richieste. L’impiego della TC nello studio della patologia polmonare è ampiamente giustificato dai numerosi vantaggi che la tecnica offre. Rispetto alla RX del torace permette di visualizzare rilievi anatomici con precisione maggiore, consente di evidenziare lesioni collocate in distretti anatomici non bene esplorabili, permette di identificare e definire lesioni anche molto piccole. L’esame non causa nessun tipo di dolore, ma un fattore di cui tener conto è che comporta l’emissione di maggiori quantità di raggi X rispetto ad una radiografia normale, pertanto pur essendo un’indagine accurata nello studio del tessuto e della circolazione polmonare è bene utilizzarla solo in casi di reale necessità diagnostica. In conclusione l’RX del torace ha ruolo importante, di prima istanza, nel riconoscere o almeno nel sospettare l’esistenza di numerosi tipi di patologie, ma la TC occupa un ruolo di assoluto rilievo nel confermare ed approfondire le diverse patologie.
Risonanza Magnetica Nucleare (RMN)
La RMN non fa uso di radiazioni ionizzanti (come l’RX e la TC), ma utilizza onde magnetiche e radiofrequenze. L’assenza di radiazioni permette di ripetere la procedura senza grandi problemi. Inoltre non sono noti pericoli o effetti collaterali causati dalla RMN. L’esame inizia con il paziente sdraiato all’interno di un magnete a forma di cilindro che invia onde-radio attraverso il corpo. Lo scanner raccoglie questi segnali ed un computer li trasforma in immagini. Lo scanner RMN può fotografare quasi tutti i tessuti del corpo, comprese le parti circondate dal tessuto osseo. Durante il test un mezzo di contrasto può essere iniettato per rendere le immagini più visibili. Il mezzo di contrasto si differenzia da quello utilizzato nella TC per il minor profilo di tossicità e il maggior profilo di sicurezza. La differenza tra un tessuto normale ed uno anormale è spesso molto più chiara con la RMN che non con la TC. Tra le indagini per l’IP, la RMN è in grado di mostrare il cuore ed anche i grandi vasi sanguigni nel tessuto circostante. Inoltre rende possibile l’individuazione di alcuni difetti del cuore presenti sin dalla nascita.
La risonanza magnetica può essere fatta in regime ambulatoriale ed il paziente può tornare a casa subito dopo l’esame. Durante il test è importante rimanere completamente immobili. Come per la TC, l’esame potrebbe causare una sensazione di claustrofobia. I pazienti che temono questi effetti devono parlarne con il medico, che potrà decidere di dare loro un calmante. Inoltre, essendo sottoposti ad un campo magnetico molto potente durante la RMN, i pazienti non devono indossare gioielli né altri oggetti metallici e devono avvertire il personale medico che effettua l’esame dell’eventuale presenza di apparecchi elettrici come cellulari o pacemaker e di altri metalli nel corpo come chiodi chirurgici o protesi. Il campo magnetico generato dallo scanner può danneggiare le pompe da infusione utilizzate per il Flolan o il Remodulin. Pertanto è sempre bene assicurarsi che il personale sia informato del fatto che si indossi una pompa. Non bisogna mai dare niente per scontato!
Angiografia polmonare
Alcuni pazienti con IP vengono sottoposti ad angiografia polmonare. Questo test invasivo può essere utilizzato quando i risultati della scintigrafia polmonare o della angio-TC non sono stati esaustivi. L’angiografia polmonare è il miglior test disponibile per la diagnosi di eventuali ostruzioni trombotiche al livello del circolo polmonare. Durante l’esame il paziente si sdraia su un tavolo attrezzato per la scansione con raggi X e viene monitorizzato tramite elettrocardiogramma. Un tubicino (catetere), sottile e flessibile, viene inserito nella vena femorale attraverso un ago. Un operatore guardando il monitor posiziona il catetere nell’arteria polmonare e inietta una soluzione di contrasto che serve a rendere le arterie del polmone maggiormente visibili. L’angiografia polmonare produce una serie di immagini a raggi X altamente dettagliate (chiamate angiogrammi) dell’arteria polmonare e delle sue diramazioni. Il medico analizza le immagini al fine di individuare eventuali anomalie, come la presenza di apposizioni trombotiche (coaguli di sangue) o altri segni di patologie polmonari. Una piccola minoranza di pazienti che si sottopone all’angiografia polmonare può risultare allergica al mezzo di contrasto usato a causa del suo contenuto di iodio. Pertanto è buona norma che soggetti che hanno già sviluppato, in passato, questo tipo di reazioni lo facciano presente al medico. Inoltre le donne in gravidanza devono informarsi sui rischi dei raggi X per il feto. Ad ogni modo il rischio che i raggi X siano dannosi per il paziente è molto basso e le moderne apparecchiature sono costruite per fornire immagini di elevata qualità utilizzando dosi minime di radiazioni.
Cateterismo cardiaco destro
Il cateterismo cardiaco destro permette una misura diretta della pressione vigente nelle varie “camere” cardiache, nell’arteria polmonare, nel microcircolo polmonare e fornisce informazioni sulla quantità di sangue espulso dal ventricolo destro. Il test comporta il ricovero del paziente in ospedale per qualche giorno. Se il paziente è sottoposto a terapia anticoagulante con warfarin (un farmaco che rallenta la coagulazione del sangue) occorre sospendere temporaneamente la somministrazione qualche giorno prima; questo serve ad evitare il verificarsi di emorragie durante la procedura. A volte oltre al cateterismo cardiaco destro è necessario effettuare un cateterismo cardiaco sinistro per permettere all’équipe medica di ricercare eventuali malattie congenite o di valutare anomalie del lato sinistro del cuore (malattia della valvola mitrale, malattie coronariche, ecc). Il cateterismo cardiaco destro è l’esame fondamentale che permette di confermare o escludere la diagnosi di IP e di valutare la sua gravità. Inoltre permette di individuare la presenza di altre patologie che possono essere la causa dell’ipertensione polmonare. Poco prima dell’inizio della procedura al paziente viene somministrato un sedativo. I pazienti adulti normalmente non ricevono anestesia generale, che può essere invece necessaria per i bambini. Il paziente è collegato in maniera costante ad un monitor ECG e ad un saturimetro (che misura i livelli di ossigeno nel sangue); anche la pressione arteriosa sistemica è monitorata. Al paziente, sdraiato e fermo, viene inserito un catetere nella vena femorale o nella vena giugulare. Il catetere è sospinto lentamente verso l’atrio destro, quindi nel ventricolo destro e poi nell’arteria polmonare. Il catetere è un tubicino lungo circa un metro e sottile come uno spaghetto; contiene tre o quattro lumi al suo interno che permettono di misurare la pressione del sangue in diversi punti. Il posizionamento del catetere avviene grazie ad una visualizzazione, tramite raggi X, su un monitor. La pressione viene registrata di continuo tramite alcuni sensori posti sull’estremità del catetere, così come viene registrata la gittata cardiaca, ovvero la quantità di sangue espulso dal cuore ad ogni ciclo cardiaco. Moltiplicando la gittata cardiaca per la frequenza cardiaca si ottiene anche il valore della portata cardiaca, cioè la quantità di sangue eiettata dal cuore in un minuto. Spesso tramite il catetere vengono prelevati vari campioni di sangue, in modo da avere misurazioni specifiche dei livelli di ossigeno nelle varie parti del sistema circolatorio. I prelievi di sangue servono anche a determinare la concentrazione di alcuni ormoni a livello dell’arteria polmonare.
Test acuto di vasodilatazione
Durante il cateterismo cardiaco si può effettuare un test acuto di vasodilatazione che valuta se le arteriole polmonari sono in grado di dilatarsi. Questo test prevede che il paziente, durante il cateterismo, inali un gas, solitamente l’ossido nitrico. Se le arteriole si dilatano in maniera significativa, le resistenze vascolari polmonari diminuiscono. Una grossa diminuzione indica che i vasi sono abbastanza elastici e hanno ancora una quota residua di vasodilatazione. Questo risultato permette al medico di decidere il tipo di terapia più adatta per il paziente.
Classificazione funzionale
Una volta diagnosticata l’ipertensione polmonare si valuta la gravità della malattia a seconda della capacità di eseguire sforzi fisici. Un sistema è quello di utilizzare una “classificazione funzionale” che è stata standardizzata per i pazienti cardiopatici. Questa classificazione si basa sul livello di attività che il paziente è in grado di sopportare prima di avere fastidi o sintomi. (Classe NYHA)
Classe 1: include i pazienti che non hanno nessun tipo di sintomo e per i
quali le normali attività fisiche non causano fatica, palpitazioni, senso di mancanza d’aria o dolori al torace;
Classe 2: include i pazienti con lieve limitazione dell’attività fisica che accusano sintomi soltanto dopo attività superiore a quella ordinaria;
Classe 3: include i pazienti con marcata limitazione dell’attività fisica che accusano disturbi anche dopo sforzi di grado lieve;
Classe 4: include i pazienti che manifestano sintomi anche quando sono a riposo.
Negli ultimi 15 anni la terapia dell’IP ha subito una rapida evoluzione soprattutto per i progressi ottenuti nelle forme di Ipertensione Arteriosa Polmonare. Sono disponibili terapie differenti a seconda del tipo di IP. Nelle forme secondarie ad altre patologie si tenta di risolvere la malattia che ha causato l’IP, senza utilizzare farmaci specifici. Nelle forme di IAP (I gruppo della classificazione) si attua invece una terapia convenzionale e una terapia specifica. Attualmente i farmaci specifici appartengono a tre differenti classi:
• ERA (antagonisti recettoriali dell’Endotelina): Bosentan (Tracleer) e Ambrisentan (Volibris);
• Inibitori della fosfodiesterasi-5: Sildenafil (Revatio)e Tadalafil (Adcirca);
• Prostanoidi: Epoprostenolo (Flolan), Treprostinil (Remodulin) e Iloprost (Ventavis).
Tali farmaci possono essere utilizzati in monoterapia o come terapia di associazione tra le diverse classi. Le cure attualmente esistenti permettono di aiutare quasi tutti i malati e permettono al medico di scegliere il trattamento più adatto a ciascun paziente. Infatti la terapia varia in base al tipo di IP, alla sua severità e alle caratteristiche del singolo paziente. I progressi fatti negli ultimi anni nel trattamento della IAP sono il risultato della continua ricerca scientifica che interessa la patologia. Sono tuttora in corso studi clinici atti a valutare l’efficacia di nuovi farmaci, appartenenti a classi diverse rispetto a quelle precedentemente menzionate.
FORME DI IP SECONDARIA: trattamento della malattia che ha provocato l’IP (II, III, IV e V gruppo della classificazione)
Nelle forme di IP secondaria il trattamento dovrà essere mirato ad eliminare le cause che hanno provocato la malattia. Se la patologia che ha determinato l’IP non viene curata, essa continuerà ad alimentarla. Inoltre, quando l’IP persiste per molto tempo, curare la malattia che l’ha innescata può non essere più sufficiente a farne regredire lo stato, per cui sarà necessario avviare un trattamento separato. Possiamo dire che l’IP, una volta iniziata, si nutre di se stessa.
IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE (I gruppo)
Gli obiettivi principali della terapia sono volti a curare lo scompenso cardiaco, a prevenire i fenomeni trombotici che si possono verificare all’interno dei vasi polmonari ristretti e a ridurre l’azione di quei fattori che provocano la vasocostrizione e la progressiva occlusione dei vasi del circolo polmonare. La terapia viene pertanto distinta in convenzionale (di base) e specifica.
TERAPIA CONVENZIONALE
E’ essenzialmente mirata al trattamento dei segni dell’insufficienza cardiaca congestizia. Si avvale di:
Ossigeno: con il progredire della malattia la quantità di ossigeno nel sangue può ridursi a tal punto da rendere necessario l’utilizzo di un apparecchio che lo eroghi per via nasale. Alcuni pazienti hanno bisogno di farne un uso continuo, altri possono aver bisogno di ossigeno supplementare solo quando camminano o durante la loro attività quotidiana. Secondo il grado di progressione della malattia è quindi opportuno evitare quelle condizioni che potrebbero esporre il soggetto a basse percentuali di ossigeno nel- l’aria inspirata, come le alte quote e i viaggi in aereo. L’ossigeno si può trovare in diverse forme: può essere portato a casa contenuto all’interno di bombole, nelle quali è immagazzinato ad una temperatura di -150 °C; si può trovare in grandi serbatoi dai quali è possibile riempirne altri piccoli e portatili, oppure si può affittare un concentratore di ossigeno, che lo aspiri dall’aria. Il concentratore necessita di una frequente pulizia, indispensabile per evitare di aspirare germi o polvere, e non può essere utilizzato per riempire bombole portatili. Un’altra opzione per l’erogazione dell’ossigeno è data da un sistema portatile che consiste in un contenitore molto più piccolo e leggero di una bombola normale, che eroga ossigeno. In ognuno di questi sistemi l’ossigeno viene inalato con una maschera facciale o attraverso una cannula (forcina nasale). Attenzione: l’ossigeno è altamente infiammabile, per cui occorre avere prudenza quando ci si trova in prossimità di fiamme o fonti di calore. È necessario mantenere la bombola ed il tubo di raccordo a una distanza di sicurezza da ogni fiamma o sigaretta accesa.
Diuretici: possono essere utilizzati ad alte dosi. L’insufficienza cardiaca provocata dalla IP causa ritenzione di liquidi. A volte è possibile contenere tale ritenzione riducendo il sale nella dieta. Altre volte occorre iniziare l’assunzione di un diuretico per aiutare i reni ad eliminare i liquidi in eccesso. Due diuretici usati comune- mente sono la Furosemide (Lasix) e lo Spironolattone (Aldactone), quest’ultimo prevalentemente con un’azione di risparmiatore del potassio, importante per la stabilità elettrica del cuore. Infatti l’uso di diuretici può portare ad una eccessiva eliminazione di questo elettrolita, per cui è opportuno controllare periodicamente i suoi valori ed aiutare l’organismo a mantenere i suoi livelli normali, ad esempio mangiando cibi che ne sono ricchi: banane, pesche, legumi ed evitando alcuni alimenti come la liquirizia, che può farne abbassare i valori. L’utilizzo dei diuretici può provocare anche una eccessiva perdita degli altri elettroliti come il magnesio, responsabile di aritmie cardiache e debolezza muscolare. Cibi ricchi di magnesio includono: crusca, lenticchie, cereali integrali, noci, mandorle, arachidi e vegetali verdi.
Anticoagulanti: sono indicati nella prevenzione della formazione di trombi all’interno dei vasi ristretti, che può far peggiorare l’IP. Questi farmaci ostacolano la coagulazione del sangue. Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti con IP che assumono anticoagulanti hanno maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto a quelli che non ne fanno uso. Di solito viene prescritto il Warfarin (Coumadin) o l’Acenocumarolo (Sintrom). È importante non andare al di sopra o al di sotto del livello ottimale di anticoagulazione. Sfortunatamente molti cibi, farmaci ed altre sostanze condizionano l’azione degli anticoagulanti. Per mantenere giusto il loro dosaggio, è necessario controllare periodicamente l’INR (International Normalised Ratio) o tempo di protrombina, che misura il tempo impiegato dal sangue per coagulare. La maggior parte dei pazienti deve effettuare questo controllo una volta al mese, tramite un prelievo sanguigno, la cui frequenza dipende dalla stabilità del valore di INR che va mantenuto nel range tra 2,0 e 2,5. Ciascun paziente assume una propria personale dose di anticoagulante; prendere una quantità maggiore di questo farmaco non vuol dire essere più malati; diversi fattori fanno in modo che individui diversi abbiano bisogno di un quantitativo di farmaco differente per ottenere lo stesso livello di anticoagulazione. Se durante l’assunzione della terapia anticoagulante è in programma un’operazione o anche una semplice chirurgia dentale, di solito è necessario sospendere la somministrazione degli anticoagulanti circa 3-4 giorni prima dell’intervento, perché per eliminare l’azione di tali farmaci occorre qualche giorno. Durante il tempo di sospensione il farmaco viene sostituito con l’eparina, attraverso delle iniezioni sottocutanee. La terapia anticoagulante può avere importanti effetti collaterali, perché aumenta la tendenza a sanguinare. Chi assume tali farmaci deve prestare particolare attenzione ed evitare tagli, ferite o traumi di ogni tipo.
Sostanze che interagiscono con gli anticoagulanti.
Per prevenire pericolose emorragie, non va utilizzata l’aspirina (acidoacetilsalicilico) o le medicine che la contengono, a meno che non sia prescritta dal proprio medico. L’aspirina può causare perdita di sangue soprattutto all’interno del tratto gastrointestinale. In generale vanno evitati gli antinfiammatori e gli antidolorifici. In caso di raffreddore o febbre può essere utilizzato, come analgesico o antifebbrile, il paracetamolo. In ogni caso, considerato che molti farmaci possono interagire con gli anticoagulanti, bisogna sempre avvertire il proprio medi- co che lo si sta usando.
Modi in cui la dieta interagisce con gli anticoagulanti.La vitamina K, che ha un ruolo impor- tante nella sintesi dei fattori della coagulazione, rende l’anticoagulante meno efficace. Si trova in grande quantità soprattutto nei vegetali a foglia larga, ma anche nell’olio di oliva e di soia. I vegetali possono comunque essere mangiati senza problemi. Bisogna solo evitare di cambiare la quantità di vegetali presenti nella propria dieta in modo improvviso. Per contro la vitamina E fa aumentare l’effetto dell’anticoagulante. Quindi è necessario far attenzione ogni volta che si cambia la propria alimentazione o si assumono nuovi farmaci. È buona regola consultare sempre uno specialista se si vuole intraprendere una dieta dimagrante o prima di utilizzare nuovi medicinali.
Digossina (Lanoxin): quando il ventricolo destro si è indebolito questa sostanza potrebbe aiutarlo a contrarsi meglio e in alcuni casi può essere valutato il suo utilizzo. Alcune sostanze come il Diltiazem (Dilzene, Tildiem) fanno aumentare l’effetto della digossina. In alcuni casi, questa sostanza può accumularsi nell’organismo e provocare sintomi come nausea, per- dita di appetito, diarrea, mal di testa, confusione, depressione, disturbi alla vista e aritmie cardiache.
Ca-antagonisti: Nifedipina (Adalat), Diltiazem (Tildiem, Dilzene), Verapamil (Isoptin) e Amlodipina (Norvasc) I Ca-antagonisti sono farmaci molto efficaci nel trattamento di un sotto gruppo di pazienti con IAP responsiva al test acuto di vasoreattività. Tale test viene eseguito durante il cateterismo cardiaco destro, facendo inalare al paziente un vasodilatatore a breve durata d’azione, il più delle volte ossido nitrico. Circa il 10% dei pazienti risultano responsivi a questo test e possono trarre beneficio dalla somministrazione di tali farmaci ad alte dosi. In altri pazienti le piccole arterie dei polmoni possono essere talmente rigide da non riuscire più a dilatarsi neanche con l’aiuto del Ca-antagonista, per cui l’utilizzo del farmaco può essere molto pericoloso. Infatti in questi pazienti la somministrazione di tali farmaci potrebbe provocare una dilatazione dei soli vasi sistemici e quindi una grave riduzione della pressione misurata al braccio, che può portare a gravi danni cardiaci.
COME FUNZIONANO.
Questi farmaci interagiscono con la modalità di contrazione cellulare. Infatti le cellule muscolari lisce nelle arterie hanno bisogno di calcio per contrarsi, per cui questi medicinali impediscono alle cellule di utilizzare il calcio, mantenendo le arterie dilatate e abbassando in questo modo la pressione sistemica (quella misurata al braccio) e quella del polmone. QUALI CA-ANTAGONISTI SI UTILIZZANO La sostanza più comunemente usata è la Nifedipina (Adalat); Amlodipina (Norvasc) e Diltiazem (Tildiem, Dilzene) sono altri esempi di calcio-antagonisti che possono essere usati.
EFFETTI COLLATERALI
I calcio-antagonisti dilatano tutti i vasi sanguigni del corpo, non solo quelli che ne hanno bisogno (per i pazienti con IP è importante che si dilatino i vasi polmonari). Quindi gli effetti collaterali includono il gonfiore ai piedi, caviglie e polpacci. Tuttavia questi segni possono anche essere un indice di peggioramento dell’IP, per cui il paziente può avere difficoltà nel capirne la causa. In generale, se il farmaco ha ridotto l’affanno al paziente, il gonfiore dei piedi e delle gambe è probabilmente solo un effetto collaterale che può essere controllato con i diuretici. Se i piedi si gonfiano e l’affanno non è migliorato, bisogna avvertire il medico. A volte i calcio-antagonisti fanno abbassare troppo la pressione sistemica generale (quella che si misura al braccio) provocando giramenti di testa. Altre volte ancora si può avere cefalea o ispessimento delle gengive. In tutti questi casi è importante informare il proprio medico. DOSAGGIO Si tenta di raggiungere il dosaggio di farmaco più alto possibile, per avere il maggior beneficio clinico, compatibilmente con la comparsa degli effetti collaterali. Precauzioni da adottare se si usano i calcio-antagonisti:
• non masticare e non dividere le compresse per non distruggerne la matrice (struttura interna che serve per il rilascio della sostanza attiva ad una velocità costante nelle 24 ore);
• non smettere mai improvvisamente la loro assunzione, la sospensione deve avvenire sotto la stretta supervisione di un medico perché può portare anche a conseguenze cardiache gravi;
• evitare di bere grosse quantità di succo di pompelmo, perché possono potenziare l’azione del calcio-antagonista.
TERAPIA SPECIFICA
L’utilizzo dei farmaci specifici per l’ipertensione arteriosa polmonare si basa sulla modifica dei fattori responsabili dello sviluppo delle lesioni tipiche della malattia. Gli obiettivi della terapia sono:
• correggere la ridotta produzione di prostaciclina, sostanza ad azione vasodilatante ed antiproliferativa (Epoprostenolo, Treprostinil, Iloprost);
• ostacolare l’effetto di una proteina ad azione vasocostrittrice, l’Endotelina, maggiormente presente nei pazienti con IAP (antagonisti recettoriali dell’endotelina: Bosentan,Ambrisentan);
• potenziare l’effetto dell’ossido nitrico (NO), un potente vasodilatatore presente nell’organismo (inibitori della fosfodiesterasi-5: Sildenafil, Tadalafil).
PROSTACICLINE: Epoprostenolo (Flolan), Treprostenil (Remodulin), Iloprost (Ventavis).
EPOPROSTENOLO (Flolan) L’Epoprostenolo (“Flolan” è il nome commerciale) è una molecola sintetizzata in laboratorio, ma agisce come una sostanza prodotta naturalmente nel nostro organismo (prostaciclina) dalle cellule che rivestono i vasi sanguigni (cellule endoteliali). È stato il primo farmaco disponibile per la terapia della IAP (introdotto in Italia nel 1999). Nel settembre 1995, l’agenzia del farmaco americana (Food and Drug Administration, FDA) ha approvato la sua commercializzazione in seguito ad una serie di studi che hanno dimostrato la sua efficacia nel migliorare la funzione cardiaca, la tolleranza allo sforzo e la sopravvivenza, in pazienti con ipertensione arteriosa polmonare in III e IV classe funzionale. È stato dimostrato che tale terapia non va iniziata troppo tardi, in quanto i pazienti che iniziano in uno stadio più avanzato della malattia hanno un beneficio minore rispetto a chi inizia più precocemente.
COME FUNZIONA L’EPOPROSTENOLO
L’azione dell’Epoprostenolo si esplica in diversi modi: dilata i vasi sanguigni, impedisce alle piastrine di aggregarsi, migliora la funzione cardiaca, rallenta la crescita delle cellule muscolari che rivestono i piccoli vasi polmonari. La sua azione può anche migliorare nel tempo (questa è la ragione per cui i pazienti che non rispondono al test di vasodilatazione acuta possono comunque iniziare la terapia con il Flolan). Il suo effetto finale è la riduzione della pressione in arteria polmonare e in atrio destro e il miglioramento della funzione cardiaca e della saturazione di ossigeno nel sangue. I sintomi diminuiscono e in alcuni casi scompaiono. Questi cambia- menti si verificano già dopo qualche settimana dall’inizio della terapia ma a volte anche dopo mesi. In alcuni pazienti il Flolan sembra addirittura far regredire il corso della malattia. PREPARAZIONE DEL FARMACO La preparazione del farmaco richiede attenzione in ogni singolo passaggio. Infatti il Flolan è disponibile sotto forma di polvere essiccata a freddo che deve essere sciolta in un solvente (glicina) prima di poter essere somministrata. Il farmaco, una volta preparato, va caricato all’interno di un apposito serbatoio che a sua volta verrà collegato alla pompa che lo infonderà in maniera continua (ventiquattro ore su ventiquattro). Queste operazioni devono essere fatte giornalmente, di solito dal paziente o da un membro della sua famiglia.
SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO
La durata di azione del Flolan è molto breve (di soli pochi minuti) e questo spiega perché non può essere assunto sotto forma di pillole, ma necessita di un’infusione endovenosa. La sua somministrazione prevede l’utilizzo di pompe di infusione portatili (della grandezza di un walkman). La pompa infonde ininterrottamente il farmaco attraverso un catetere in silicone, inserito in sala operatoria con anestesia locale, che dopo un decorso sotto la cute di circa 8-10 cm (viene tunnellizzato) è inserito nella vena succlavia. Il decorso sottocutaneo è necessario per dare stabilità al catetere e ridurre il rischio di infezioni. La pompa di infusione viene indossata in una parte del corpo (può essere legata alla cinta o posizionata in un marsupio, in una borsetta o in uno zainetto). Il dosaggio del farmaco viene aumentato periodicamente per raggiungere la dose ottimale, quella che permetterà di ottenere la massima efficacia clinica. Tale dose è personalizzata, tiene conto anche del peso corporeo del soggetto, e necessita di aumenti periodici, per- ché i pazienti sviluppano una certa resistenza al medicinale (tolleranza).
EFFETTI COLLATERALI
Gli effetti collaterali sono frequenti, ma nella maggior parte dei casi sono sopportabili e di solito diminuiscono man mano che l’organismo si abitua al farmaco (tendono ad aumentare ogni volta che si aumenta la dose e poi si stabilizzano di nuovo). I più frequenti sono dovuti alla vasodilatazione che il farmaco provoca nell’organismo e sono: vampate, cefalea, dolore alle mascelle e alle gambe, nausea e diarrea. Per diminuire il dolore alla mascella (che si riduce masticando) si consiglia di iniziare il pasto mangiando lentamente un craker o un pezzo di pane. Il Paracetamolo può ridurre la cefalea causata dal Flolan, mentre la diarrea può essere ridotta con Lopemid o Imodium. Il Flolan rende le persone più sensibili alla luce, per cui chi ne fa uso deve evitare di esporsi troppo al sole. Una volta iniziata, la terapia con Epoprostenolo non deve mai essere bruscamente interrotta, poiché anche una breve interruzione può causare una rapida ricomparsa dei sintomi e in alcuni casi la morte. Quindi è necessario tenere a portata di mano una pompa di sicurezza, già programmata con la propria velocità di infusione, e batterie nuove in caso di guasti al sistema di somministra- zione del farmaco.
RISCHI DI INFEZIONE
La complicanza più frequente in corso di terapia con Flolan è l’infezione legata alla presenza del catetere (accesso venoso). L’infezione si verifica in circa il 20% dei pazienti ogni anno (quindi in quasi tutti i pazienti nell’arco di 5 anni). È importante distinguere un’infezione locale da una sistemica. I segni di un’infezione localizzata della pelle sono: rossore, dolore, secrezioni, gonfiore. I segni di un’infezione generalizzata (che interessa tutto il corpo) sono: febbre, tremore e brividi, peggioramento dei sintomi abituali (affanno, stanchezza). Quest’ultima condizione è la più pericolosa per il nostro organismo, quindi è necessario riconoscerla prontamente per iniziare precocemente una terapia. La frequenza di infezioni si può ridurre cambiando regolarmente il bendaggio sterile e disinfettando la zona cutanea di inserzione del catetere ogni 3 giorni. È fondamentale, prima di preparare il Flolan, o di cambiare il catetere di raccordo, o la medicazione, lavarsi scrupolosamente le mani ed eseguire tutte le operazioni in un ambiente “pulito”. Se si è raffreddati o se si ha la tosse, è utile indossare una mascherina prima di armeggiare con i vari dispositivi del farmaco e della pompa.
QUANDO ANDARE AL PRONTO SOCCORSO PIU’ VICINO:
• quando il catetere è ostruito e il Flolan non circola, anche se il dispositivo di infusione sembra funzionare bene (aumento del residuo di farmaco nel serbatoio);
• quando il catetere è lesionato o danneggiato (prima di partire per il Pronto Soccorso, è utile pinzare il catetere in un punto tra il torace e l’area danneggiata);
• quando il catetere viene sfilato dalla sua sede (in questo caso è utile applicare una pressione nel punto di inserzione cutanea del catetere con un tampone sterile);
• quando il paziente ha la febbre alta, trema, ha brividi di freddo (questi possono essere i segni di un’infezione generalizzata)
SUGGERIMENTI AI PAZIENTI CHE USANO IL FLOLAN:
• Porta sempre con te una pompa di riserva, batterie, tubi e il necessario per le medicazioni.
• Dopo che il Flolan è stato miscelato alla soluzione liquida quest’ultima può gelarsi in caso di grande freddo, perciò proteggi la tua pompa e la tubatura.
• In estate, per evitare che le tue riserve di ghiaccio si sciolgano mentre viaggi, chiedi al medico se i farmaci possono andare col ghiaccio secco in una borsa termica. Il farmaco deve essere conservato in un ambiente fresco ad una temperatura inferiore ai 25° C.
• Se ti trovi in prossimità di un apparecchio RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) tieni la pompa lontana dal campo magnetico così che il suo programma non venga cancellato.
• Compra un calendario o un’agenda per annotare i giorni in cui devi cambiare la dose del farmaco o controllare il tuo tempo di pro- trombina/INR, e prendere nota dei problemi e degli effetti collaterali dei farmaci che assumi (in modo da poterli riferire al tuo medico).
• Per diminuire il dolore alla mascella prova a massaggiarti le guance quando mastichi il primo boccone.
• Per alleviare i crampi alle gambe prova ad immergerle nell’acqua calda, oppure coprile con una termocoperta programmata a temperatura minima.
• Non passare attraverso il metal detector che si può trovare posizionato negli aeroporti o nelle banche.
Dopo aver conosciuto persone di tutte le età, dai bambini piccoli fino agli anziani, che hanno una buona qualità di vita grazie all’Epoprostenolo, si può dire che i benefici di questo trattamento sono di gran lunga superiori ai suoi effetti collaterali. Molte delle persone che usano il Flolan vanno a scuola, viaggiano e continuano a fare il loro lavoro.
REMODULIN (Treprostinil)
Il Remodulin è un analogo della pro- staciclina, al pari dell’Epoprostenolo, ma rispetto a quest’ultimo ha sia una maggiore stabilità chimica, che permette di mantenerlo a temperatura ambiente già disciolto in una solu- zione (rimane stabile anche per cinque anni), sia un’emivita più lunga (circa 4 ore) che garantisce la possibilità di somministrazione per via sottocutanea, ritenuta meno rischiosa e più maneggevole rispetto a quella endovenosa. Come il Flolan anche il Remodulin dilata i vasi saguigni dei polmoni, ritarda il processo di proliferazione cellulare e la progressione del danno a livello della parete dei vasi. La sua azione incrementa la saturazione di ossigeno del sangue, aumenta la tolleranza all’esercizio fisico, migliora la funzione cardiaca, prolunga la sopravvivenza e migliora la qualità di vita di chi lo assume. PREPARAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO Il Remodulin viene somministrato per via sottocutanea (ovvero sotto la pelle) e non endovenosa come il Flolan. La sua erogazione viene effettuata tramite una piccola pompa a micro-infusione, grande come un telefono cellulare, collegata ad un sottile catetere con inserzione sotto-cutanea. Il farmaco è contenuto in minuscole siringhe posizionate all’interno della pompa (attiva venti- quattro ore su ventiquattro); la siringa, che diventa il serbatoio interno della pompa, è collegata al catetere da infusione che viene inserito nel tessuto sottocutaneo dell’addome (dove è maggiormente rappresenta- to il tessuto adiposo). I pazienti imparano ad inserire il catetere nella pelle, in un punto detto “punto di infusione”. Il farmaco all’interno della siringa- serbatoio va sostituito ogni 3 giorni circa, mentre il catetere sottocutaneo può essere cambiato meno frequentemente (di solito dopo qualche setti- mana). Il Remodulin non richiede miscelazioni o preparazioni speciali, il liquido è commercializzato in fiale di vetro già pronte all’uso. Non è necessaria nessuna refrigerazione. La cura e la gestione sia del punto di infusione che della pompa richiedono un ottimo livello di pulizia, come per il Flolan. L’igiene serve a ridurre i rischi di infezione localizzata nel punto di infusione sottocutanea del catetere. Il trattamento può essere iniziato in ospedale, per permettere ai medici e agli infermieri che si occupano di IP di insegnare al paziente tutti i “trucchi” per la gestione della terapia. La dose del farmaco viene progressivamente aumentata fino ad ottenere un beneficio clinico adeguato, così come per il Flolan. In alcuni paesi il farmaco può essere somministrato anche in forma endovenosa.
• Tenere sempre pulite e tagliate molto corte le unghie delle mani. Giornalmente pulirle con lo spazzolino.
• Fare una bella doccia prima di cambiare mensilmente il catetere.
• Disinfettare le mani prima di preparare la medicina ogni tre giorni e prima di cambiare il catetere una volta al mese. Disinfettarle ulteriormente nei vari passaggi.
• Quando si prepara la medicina o si cambia il catetere: usare un vassoio precedentemente disinfettato che servirà per appoggiarci il catetere nuovo, la medicina e lo spara-aghi.
• Disinfettare il contenitore del remodulin e lo spara-aghi ogni volta che si usano.
• Disinfettare per bene la parte dove verrà inserito il catetere. Usare garza sterile e disinfettare a raggiera, come fossero raggi del sole.
• Disinfettare le mani dopo aver buttato il vecchio catetere e disinfettare per bene la parte dove era inserito, con betadine e acqua ossigenata e coprirlo con un cerotto.
Consigli:
La settimana che si è cambiato il catetere mensilmente è preferibile indossare abiti comodi o stile impero o pantaloni con l’elastico lento. E’ importante stare comodi perché l’addome tende a gonfiarsi nei primi giorni. Se non si desidera far vedere la pompa si può nasconderla facendo cucire una piccola sacchetta all’interno del pantalone o della gonna se sono provvisti di elastico in vita. C’è chi inserisce la pompa nella giarrettiera o nel reggiseno. Molte persone usano un fazzoletto sopra il catetere per evitare maggiori irritazioni la settimana che si è cambiato il catetere. La sensibilità diminuisce perché la pelle non è in con- tatto con le varie stoffe. Attenzione che non sporga il filo del catetere perché potrebbe facilmente impigliarsi in qualsiasi cosa. Si eviterà la sostituzione dello stesso ed il conseguente dolore. Se il catetere si riempie di sangue è possibile che si sia rotto un capillare. Sostituirlo immediatamente con un nuovo catetere sul lato opposto del- l’addome.
EFFETTI COLLATERALI
Lo svantaggio principale del Remodulin è il dolore nel sito di infusione, che per alcuni pazienti può essere anche molto intenso. Solitamente questi disturbi sono limi- tati alla prima settimana dopo il cambio del sito di inserzione del catetere e possono essere gestiti con antidolorifici. L’entità del dolore varia da per- sona a persona e di volta in volta nello stesso paziente. Tuttavia col tempo il dolore, in coloro che lo avvertono e che continuano il trattamento, spesso sembra svanire o attenuarsi. I fastidi non sono dovuti alla presenza del piccolo catetere sottocutaneo che inietta la sostanza, ma potrebbe- ro dipendere dall’ irritazione, provocata dal farmaco, ai terminali nervosi. Inoltre il Treprostinil può avere gli stessi effetti collaterali del Flolan, anche se di solito in forma più lieve, come: il dolore alla mascella, l’emicrania, il rossore facciale, la nausea, la diarrea ed il vomito. Alcuni individui possono anche sviluppare forme di sensibilità alla luce solare. Attualmente alcuni studi clinici stanno valutando la sua efficacia in una formulazione in compresse.
ILOPROST (Ventavis)
È un analogo stabile della prostaciclina con una emivita di circa 50 minuti. Questa sostanza, così come il Flolan e il Remodulin, dilata i vasi sanguigni e contribuisce a rallentare la progressione della malattia prevenendo la vasocostrizione e l’ostruzione dei vasi, incrementa la saturazione di ossigeno e la gittata cardiaca, migliora la tolleranza all’esercizio fisico. Nel trattamento dell’IP questo farmaco è stato usato inizialmente per via endovenosa; attualmente viene usato per via inalatoria nel tentativo di concentrare l’azione del farmaco nel circolo polmonare, dove incrementa il flusso di sangue ai polmoni.
SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO
L’Iloprost è inalato nei polmoni usando un nebulizzatore, un dispositivo che nebulizza il farmaco in vapore leggero costituito da piccole particelle. L’inalazione dura circa 10 minuti per ogni dose e gli effetti durano in media una o due ore. Il nebulizzatore deve essere conservato bene, pulito e mantenuto in buone condizioni. La cura e la gestione di una terapia di lunga durata richiede accortezza e manutenzione del dispositivo del nebulizzatore, mentre il momento dell’inalazione richiede una buona comprensione e collaborazione da parte del paziente, che dovrà regola- re il suo respiro con l’erogazione del farmaco da parte del dispositivo. Sono necessarie numerose somministrazioni quotidiane (8-9 volte) in quanto l’effetto del farmaco dura solo per un tempo limitato. Questo aspetto può essere molto fastidioso per alcune persone, ma è fondamentale non saltare le dosi, perché gli effetti benefici della terapia sarebbero ridotti o addirittura completamente persi.
EFFETTI SECONDARI
Gli effetti secondari del Ventavis possono includere tosse fastidiosa o broncospasmo, mentre gli effetti collaterali tipici degli altri analoghi delle prostacicline (Flolan e Remodulin) sono molto meno frequenti (dolori alla mascella, nausea, vomito, diarrea, emicrania, rossori al viso, sensibilità alla luce). Un limite di questa modalità di trattamento è la necessità di effettuare inalazioni molte volte al giorno e spesso il bisogno di associare un altro farmaco per mantenere una efficace risposta clinica nel tempo.
ANTAGONISTI RECETTORIALI DELL’ENDOTELINA
L’Endotelina è una sostanza prodotta dallo strato di cellule che ricopre i vasi sanguigni e si trova normalmente all’interno del corpo. È un potente vasocostrittore che svolge un ruolo importante per il flusso del sangue, poiché restringe la parete dei vasi, facendo aumentare la pressione al loro interno. Esplica la sua azione attraverso l’interazione con due recettori ETA ed ETB. I recettori ETA promuovono un effetto vasocostrittore e di moltiplicazione cellulare, mentre i recettori ETB hanno un effetto diverso a seconda che si trovino sulle cellule endoteliali (vasodilatazione) o sulle cellule muscolari lisce (vasocostrizione). Nei malati di IP è stato documentato un aumento della sua quantità nel circolo sanguigno: ciò è dovuto sia ad un incremento della sua produzione sia ad una riduzione della sua eliminazione. Nel corso degli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato il ruolo dell’endotelina nello sviluppo dell’ipertensione arteriosa polmonare come importante mediatore della moltiplicazione delle cellule endoteliali e muscolari lisce. Si è anche osservata una correlazione tra la concentrazione nel sangue di questa proteina, la severità della malattia e la sua progressione.
In conclusione, anche se non è ancora chiaro se l’aumento dell’endotelina sia la causa o la conseguenza della malattia, alcuni dati confermano l’ipotesi di un suo ruolo centrale nello sviluppo dell’ipertensione arteriosa polmonare.
BOSENTAN (Tracleer)
Il Bosentan è un antagonista dei recettori ETA ed ETB dell’endotelina, ed è attivo per via orale. Contrastando l’azione dell’endotelina, questo farmaco può portare ad un miglioramento della funzione cardiaca ed una riduzione della pressione sanguigna nei polmoni, migliorando così la tolleranza allo sforzo e la condizione clinica del paziente. Sulla base di queste osservazioni, alla fine degli anni ’90, è stata testata l’efficacia del Bosentan nei pazienti con ipertensione arteriosa polmonare idiopatica o associata a malattie del tessuto connettivo in III-IV classe funzionale NYHA. Questi dati sono stati confermati anche in pazienti con IAP associata a cardiopatie con- genite e in pazienti in II classe funzionale NYHA. Inoltre si è recentemente concluso uno studio clinico che prevedeva l’uso di questo farmaco in pazienti con IP cronica tromboembolica non suscettibile di intervento chirurgico. I dati hanno dimostrato un miglioramento significativo della funzione cardiaca e della pressione polmonare. Il farmaco è generalmente ben tollerato, si inizia con la dose di 62.5 mg due volte al giorno e dopo quattro settimane, se non si manifestano eventi avversi, si aumenta alla dose di 125 mg due volte al giorno.
EFFETTI SECONDARI
È generalmente ben tollerato; in circa il 10% dei pazienti si osserva un aumento degli enzimi epatici che tende a normalizzarsi riducendo il dosaggio o interrompendo il trattamento. Per questo motivo si sconsiglia l’utilizzo del Bosentan in pazienti con una funzionalità epatica moderatamente o gravemente alterata o in pazienti con valori basali di transaminasi elevati. Per la possibilità di tossicità epatica i pazienti devono eseguire ogni mese un controllo delle analisi del sangue per la funzionalità del fegato. Gli effetti secondari segnalati includono la congestione nasale, l’emicrania, un aumento del flusso del sangue sulla pelle e sul volto (rosso- re al volto) e gonfiore agli arti inferiori. Si pensa che questo medicinale possa avere una certa interazione con l’anticoagulante, che comporti un aumento della dose per raggiungere l’INR terapeutico. Tracleer è commercializzato in tutti gli Stati dell’Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Australia.
AMBRISENTAN (Volibris) È’ un antagonista selettivo dei recettori ET-A dell’Endotelina a lunga durata d’azione e non ha importanti interazioni con altri farmaci. Viene assunto per via orale e i suoi effetti, documentati negli studi clinici, sono sovrapponibili a quelli ottenuti con gli altri farmaci della famiglia degli antagonisti recettoriali dell’endotelina. Ha dimostrato di migliorare la tolleranza allo sforzo, lo stato clinico e la funzionalità cardiaca in pazienti con IAP idiopatica e associata a malattie del connettivo in II-III classe funzionale NYHA. L’Ambrisentan ha una minore interazione con gli altri farmaci e pro- voca più raramente tossicità epatica. Necessita comunque del controllo mensile delle transaminasi ed è somministrabile in un’unica dose giornaliera, iniziando con 5 o 10 mg.
INIBITORI DELLA FOSFODIESTERASI 5: Questa categoria di farmaci agisce bloccando la fosfodiesterasi-5, l’enzima che promuove la trasformazione del GMP in GMPc (un enzima è una proteina che facilita le reazioni chimiche). L’aumento del GMPc intracellulare causa a breve termine vasodilatazione e cronicamente un effetto anti-proliferativo sulle cellule muscolari lisce.
SILDENAFIL (Revatio) Inizialmente questo farmaco, conosciuto con il nome commerciale di Viagra, era stato sviluppato per curare pazienti con malattie cardiache come l’angina. Durante il suo utilizzo è stato scoperto un “effetto secondario” inatteso: aiutava a migliorare l’erezione nell’uomo. Questa molecola è quindi conosciuta più comunemente per il suo utilizzo nel trattamento della disfunzione erettile (impotenza). Quando nel 1998 il Sildenafil è stato commercializzato sul mercato, il suo uso è stato considerato dai medici anche per il trattamento dell’IP. Il farmaco è stato approvato in Italia con il nome commerciale di Revatio, per il trattamento della IAP idiopatica e associata a malattie del connettivo in II-III classe funzionale NYHA, al dosaggio di 20 mg tre volte al giorno che può essere aumentato fino ad 80 mg tre volte al giorno. La sua assunzione comporta un aumento della tolleranza allo sforzo ed un miglioramento della funzione cardiaca. Alcuni studi suggeriscono un effetto favorevole nelle forme di IPsevera secondaria a pneumopatie e nelle forme tromboemboliche non suscettibili di intervento chirurgico.
MECCANISMO D’AZIONE
Il Sildenafil provoca un rilassamento della muscolatura liscia dei vasi sanguigni che, a sua volta, ha l’effetto di far aumentare il flusso del sangue. Questo accade grazie all’inibizione dell’enzima “fosfodiesterasi-5” abbreviato spesso in PDE-5. Il Sildenafil dà luogo ad una complessa catena di eventi che coinvolge il sistema nervoso ed il rilascio di alcuni messaggeri chimici nei tessuti. Uno di questi messaggeri è chiamato “GMP ciclico”, che induce i vasi sanguigni a dilatarsi distendendo lo strato muscolare che si trova nelle loro pareti. Normalmente l’azione del GMP ciclico nel corpo è interrotta dall’azione delle PDE-5. Il Sildenafil, inibendo l’azione delle PDE-5 prolunga l’azione del GMP ciclico. In questo modo i vasi sanguigni rimango- no dilatati per un tempo più lungo ed il flusso di sangue migliora. Diversi studi clinici hanno valutato l’efficacia di questo farmaco nei malati di IP. I risultati di questi lavori sono incoraggianti, infatti hanno dimostrato che grazie al Sildenafil alcuni pazienti con IP hanno migliorato la loro capacità di esercizio fisico, con riduzione della pressione nell’arteria polmonare e un miglioramento della funzione cardiaca. Nel 2006, dunque, il farmaco è stato commercializzato per il trattamento dell’IAP con il nome “Revatio”.
TADALAFIL (Adcirca) È anch’esso un inibitore della fosfodiesterasi -5, assunto per via orale. La sua efficacia nel migliorare la tolleranza allo sforzo e la funzione car- diaca è sovrapponibile a quella ottenuta con dosaggi elevati di Sildenafil. Anche questa molecola, col nome commerciale di Cialis, è stata precedentemente commercializzata con indicazione per la disfunzione eretti- le. Solo recentemente è stato approvato in Italia, con il nome di Adcirca, per il trattamento di pazienti con ipertensione arteriosa polmonare idiopatica ed associata a malattie del tessuto connettivo in II e III classe funzionale al dosaggio di 40 mg una volta al giorno.
Tutti i farmaci sin qui descritti si sono dimostrati efficaci nelle forme di ipertensione arteriosa polmonare idiopatica ed in alcune forme associate ad altre patologie (ad esempio malattie del connettivo). Vi sono studi non controllati che suggeriscono una possibile efficacia anche in altre forme di ipertensione arteriosa polmonare (IP associata a cardiopatie congenite, infezioni da HIV, utilizzo di anoressizzanti, malattie del fegato) ed ipertensione polmonare seconda- ria ad embolia polmonare distale.
INTERVENTI CHIRURGICI PER IL TRATTAMENTO DELL’IPERTENSIONE POLMONARE:
ENDOARTERECTOMIA POLMONARE
Questo tipo di intervento può essere eseguito nelle forme di ipertensione polmonare cronica tromboembolica o Chronic Thromboembolic Pulmonary Hypertension (CTEPH). Questo tipo di ipertensione polmonare è dovuta ad un unico episodio di embolia polmonare (EP) non perfettamente guarita o ad episodi ricorrenti. La comparsa di CTEPH può quindi rappresentare una delle possibili evoluzioni di una EP, malattia che può progredire in diversi modi:
• guarigione completa con dissoluzione del tromboembolo (minoranza di pazienti);
• guarigione parziale, con una dissoluzione pressoché completa del coagulo di sangue (maggior parte dei casi);
• dissoluzione incompleta con ostruzione persistente di parte delle arte- rie polmonari con comparsa di ipertensione polmonare (CTEPH, piccola minoranza di casi). Spesso i pazienti con CTEPH riferiscono di aver sofferto di uno o più episodi di EP acuta, altre volte si tratta di episodi che non sono stati riconosciuti come EP e il trattamento è stato tardivo. La reale incidenza della CTEPH non è nota. Negli Stati Uniti si verificano circa 600000 casi di EP per anno, con una mortalità dell’8- 25%; si ritiene che circa lo 0,1-0,5% dei sopravvissuti vada incontro a CTEPH. Un recente studio italiano ha stimato che circa il 3% dei pazienti con EP possano sviluppare CTEPH dopo 2 anni dall’episodio di EP. I sintomi della malattia sono uguali
alle altre forme di ipertensione polmonare (affanno sotto sforzo o anche a riposo, segni di ritenzione idrica). È importante arrivare ad una diagnosi precisa di CTEPH perché se le lesioni sono vicine all’origine dell’arteria polmonare è possibile effettuare un intervento chirurgico di disostruzione delle arterie (endoarterectomia polmonare). L’intervento è piuttosto complesso, ma i risultati sono molto buoni: nella maggioranza dei casi si riesce ad ottenere una normalizzazione dei valori di pressione polmonare. Quindi il rischio dell’intervento è ampiamente superato dai benefici. Non vi sono limiti di età e possono essere operati anche pazienti anziani (80 anni) a patto che non abbiano altre malattie importanti (insufficienza renale, enfisema polmonare). In Italia il centro che ha la maggiore esperienza è la Cardiochirurgia dell’Ospedale S. Matteo di Pavia. I pazienti che sono stati operati devo- no seguire una terapia anticoagulante a vita e spesso devono essere sottoposti al posizionamento di un filtro cavale (un ombrellino che viene posizionato in una grossa vena che riporta il sangue dalle gambe e dall’addome verso il cuore; questo sistema evita che coaguli di sangue, che si possono formare nelle vene, raggiungano il circolo polmonare). Nei casi in cui le ostruzioni dei vasi polmonari siano troppo distanti per essere rimosse chirurgicamente, non vi sono attualmente medicine sicuramente efficaci, ma esistono delle esperienze promettenti con i farmaci utilizzati nelle forme di ipertensione arteriosa polmonare idiopatica.
TRAPIANTO DI POLMONE
Rappresenta l’ultima arma per il trattamento delle forme più gravi di ipertensione polmonare che non rispondono alla terapia con i farmaci. Per ottenere un risultato ottimale è importante che il trapianto non venga eseguito troppo presto o troppo tardi (in quest’ultimo caso il paziente avrebbe un rischio eccessivamente alto). È quindi importante che i medici che curano l’ipertensione polmonare siano in contatto con un centro che esegua il trapianto di polmone e decidano insieme con il chirurgo quando inserire in lista di attesa il paziente (si deve tenere conto che l’attesa media prima di eseguire un trapianto di polmone è tra i 18 e i 24 mesi). Per poter essere messi in lista per il trapianto di polmone bisogna avere alcune caratteristiche (età inferiore ai 60 anni per il trapianto di entrambi i polmoni, assenza di altre malattie gravi, come i tumori, buona funzione epatica e renale) ed essere in discrete condizioni generali e buon equilibrio psicologico. Ovviamente i nuovi polmoni devono essere di una grandezza adeguata per l’altezza del ricevente e deve esserci una certa compatibilità tra il donatore e il ricevente (stesso gruppo sanguigno). L’intervento viene di solito eseguito trapiantando un organo per volta (trapianto bilaterale sequenziale) iniziando dal polmone più danneggiato. Dopo l’intervento il paziente riceve una terapia che faccia “accettare” il nuovo organo (terapia immunosoppressiva) ed evitare “crisi di rigetto”. Le terapie attuali sono piuttosto efficaci, ma espongono il paziente al rischio di infezioni. Per tale motivo il paziente trapiantato deve essere controllato periodicamente per riconoscere sia un’eventuale fase di rigetto che le possibili infezioni. Complessivamente i risultati sono buoni e la maggioranza dei pazienti riesce a riprendere una vita attiva.
Le tue visite dal medico specialista in IP sono molto importanti. Ti consigliamo di utilizzare al meglio il tempo che hai a disposizione durante questi incontri, specialmente se hai dovuto affrontare un lungo viaggio per arrivarci. Se devi sottoporti a molti test ricordati di fornire ai medici tutte le informazioni di cui hanno bisogno per aiutarti. Informali ad esempio di qualsiasi nuovo sintomo: come e quando è iniziato, come sta modificando il tuo sonno, il respiro, le attività giornaliere, l’appetito, la tua vita familiare e lavorativa, etc. Ricordati che l’équipe medica sta dalla tua parte e non è lì per giudicarti. Se ti senti troppo imbarazzato per parlare dei tuoi problemi, scrivi i dettagli su un foglio e chiedi al tuo medico di leggerli prima. Se i dottori usano un linguaggio troppo tecnico e tu hai difficoltà a capirli devi farlo presente, e chiedere loro spiegazioni. Se ti suggeriscono di fare dei test chiedi di spiegarti il perché; se ti prescrivono dei farmaci, informati sui loro eventuali rischi e sugli effetti collaterali.
Buoni consigli che ti permetteranno di ottenere il massimo dalle tue visite
– Fai prima una lista di domande e di problemi che vorresti discutere
– Porta carta e penna per poter annotare i fatti importanti
– Indossa vestiti larghi che faciliteranno l’esame da parte del medico
– Informa il medico su qualsiasi farmaco che stai prendendo
– Fatti accompagnare da un familiare o da un amico se vuoi sentirti
più tranquillo.
Durante la visita:
– Non avere paura di fare domande
– Se non capisci, chiedi ai medici di ripetere, di spiegarsi, e prendi appunti
– Se ti prescrivono un farmaco, assicurati di averne capito il motivo, la durata del trattamento, etc. – Sii franco. Se hai un problema che trovi imbarazzante o difficile, parlane subito. Ricordati che il tuo problema è probabilmente molto comune per i medici, che sono lì per aiutarti.
– Se ti vengono richieste ulteriori indagini, informati sul reparto dove fare questi test, chiedi il nome di una persona da contattare e/o il numero di telefono del reparto.
– Non avere paura di confessare “come ti senti veramente“, dopotutto, solo tu sai esattamente quello che provi. Può passare molto tempo tra un appuntamento e l’altro con la tua équipe di specialisti di riferimento, e durante queste visite ci potranno essere molte cose di cui parlare. Se arrivi puntuale e ben preparato a queste visite, potrai massimizzare il tempo del colloquio. Se hai un diario dove spieghi i tuoi sintomi e/o la tua terapia, dove descrivi la tua salute sia mentale che fisica, sintomi specifici, eventuali reazioni ai trattamenti e problemi riscontrati, portalo alla visita. Questo ti permetterà di non dimenticare o confondere i problemi, e sarà senz’altro molto utile sia per te che per il tuo gruppo medico di riferimento. Ricordati che puoi sempre contattare qualcuno della tua équipe di speciali- sti in IP, anche al di fuori della visita clinica: assicurati di avere i loro numeri telefonici, anche quello del- l’infermiera specializzata.
Usa questa lista per ottenere il massimo dalla tua visita: INFORMAZIONE
– Informa il medico degli eventuali trattamenti o farmaci che stai assumendo. E’ una buona idea portare una lista scritta.
– Informa il medico di qualsiasi sintomo che si è manifestato dall’ultimo incontro, o se sei stato da un altro medico, dalla tua ultima visita.
SINTOMI
– Si sono manifestati nuovi sintomi?
– Da quanto tempo si sono manifestati?
– Sono sempre presenti o vanno e vengono?
– C’è qualcosa che li fa migliorare o peggiorare?
– Hai provato qualche rimedio da solo? Se si, di cosa si trattava, e ha
dato risultati positivi?
– I sintomi hanno ridotto le tue capacità lavorative?
– I sintomi hanno modificato la tua vita giornaliera, le tue relazioni, etc?
– C’è qualche rimedio per avere un po’ di sollievo a questi sintomi?
– Cosa significano questi sintomi nel progredire della malattia?
TEST CHE POTREBBERO RENDERSI NECESSARI
– Per quale motivo devi sottoporti ai test?
– Dove, quando e come verranno effettuati questi test?
– Quanto tempo dovrai aspettare per conoscerne i risultati?
– Chi ti darà i risultati dei test?
RISULTATI DEI TEST
– Qual è il risultato del test?
– Cosa significa il risultato?
– Il test verrà ripetuto e, se si, con quale frequenza?
– Sono necessari ulteriori test?
– Sarà necessario un nuovo trattamento?
CONSIGLI SULLA TERAPIA
– Puoi scegliere tra diverse terapie?
– Stai riscontrando delle difficoltà con la terapia attuale?
– Ci sono aspetti particolari della terapia attuale che ti creano problemi?
– Hai provato a porvi rimedio da sola/o? Se si, è servito a qualcosa?
– Desideri avere ulteriori informazioni sulla tua terapia?
– Ci sono terapie alternative che potrebbero sostituire quella attuale?
– Desideri avere consigli sulle opzioni complementari o terapie alter-
native?
CONSIGLI GENERALI
– Sei preoccupato del tuo stato di salute in generale o di aspetti specifici che riguardano la tua salute?
– Stai avendo difficoltà con la tua dieta o con l’appetito?
– Hai bisogno di ulteriori informazioni sul tuo benessere o sul trattamento?
Cosa succede se le cose non vanno nel verso giusto, come reclamare
Noi tutti sappiamo che, nonostante gli sforzi migliori e la buona volontà, le cose non sempre vanno nel verso giusto. Questo riguarda qualsiasi aspetto della nostra vita. Nel campo medico, come nelle maggior parte delle situazioni, è meglio sforzarsi di affrontare i problemi quando si presentano, e agire velocemente. Esistono procedure stabilite per i pazienti che hanno dubbi o reclami su qualsiasi aspetto della loro terapia. Noi ti consigliamo, prima di tutto, di discutere delle tue preoccupazioni con gli specialisti: i medici, gli infermieri, i direttori della clinica/ospedale per vedere sé possibile trovare una soluzione ai tuoi problemi. Nel tuo ospedale esiste, sicuramente, una struttura che ha il compito di capire ed accogliere i problemi ed i reclami dei malati (normalmente si chiama Ufficio Relazioni con il Pubblico–URP).
Se hai bisogno di ulteriore assistenza, puoi contattare la nostra associazione e il Tribunale dei Diritti del Malato.
E’ opinione diffusa in ambito medico che la gravidanza non sia indicata per le donne malate di IP. Le vite di madre e nascituro sono a rischio elevato in queste situazioni. Qualunque donna, se ha una malattia grave, deve porsi diverse domande prima di decidere se avere dei figli, e spesso deve anche considerare il rischio di morte durante la gravidanza e il parto. La gravidanza lascia i suoi segni nel corpo della donna. Il parto ad esempio aumenta il battito del cuore, mentre il sistema immunitario diventa meno efficiente. Per una donna che convive con una grave malattia, la gravidanza può avere conseguenze catastrofiche. Sfortunatamente l’IP colpisce anche donne giovani e in età fertile. Il rischio di morte collegata alla gravidanza nelle donne con IP è abbastanza elevato (indicato tra il 30 e il 50%). Pertanto, anche solo per questo motivo, la gravi- danza non offre buone prospettive alle donne con IP. Inoltre, alcuni farmaci comunemente usati per la cura di IP (per esempio il warfarin) possono essere dannosi per il feto. Questo doppio rischio, per la paziente e per il feto, richiede qualche forma di controllo delle nascite, onde evitare la gravidanza nelle donne con IP.
Perché debbo usare il contraccettivo:
- Se sei malata di IP gli specialisti sconsigliano vivamente la gravidanza, in quanto può solo far peggiorare la tua malattia. È molto triste dirlo, ma devi sapere che aspettando un figlio correresti un elevato rischio di morte.
- Se la tua IP è secondaria a qualche altro problema clinico, come il lupus sistemico, è probabile che questo altro problema riduca le tue probabilità di avere un bambino sano.
- Anche alcuni farmaci che prendi potrebbero avere effetti negativi sul nascituro.
- Se dovessi rimanere incinta, è estremamente importante farti visitare dall’équipe medica specializzata in IP appena possibile; loro potranno valutare la cura più adatta a te.
- Molti medici consigliano l’adozione di un contraccettivo permanente, proprio in virtù dei rischi che le donne corrono durante la gravidanza.
Quale contraccettivo usare:
Non sono state ancora pubblicate linee guida dedicate al controllo delle nascite nelle donne con IP, e non esiste con- senso riguardo al metodo contraccettivo migliore. Il controllo delle nascite è un argomento che devi affrontare con il tuo medico specialista in IP: non sentirti imbarazzata, cerca di affrontare la questione, che è d’importanza vitale. Nelle pagine seguenti è riportato un breve rendiconto di alcuni fattori importanti da prendere in considerazione nell’affrontare questo problema.
Posso prendere un contraccettivo orale?
- La pillola combinata (che normalmente si prende per 3 settimane su 4) deve essere evitata in quanto contiene l’estrogeno che potrebbe addirittura far peggiorare l’ IP.
- La pillola che contiene solo progesterone (chiamata mini pillola) è anch’essa sconsigliabile, in quanto aumenta il rischio di sviluppare coaguli nel sangue. La mini-pillola inoltre è un metodo che ha dei rischi medi di fallimento.
Posso usare un sistema intrauterino (la spirale)?
- Spesso è difficile inserire una spirale se una persona non è mai stata incinta e, qualche volta, è necessario somministrare un anestetico. Durante il periodo di inserimento è necessario prendere antibiotici per ridurre il rischio di infezione. Molte donne con la spirale (che contiene rame) hanno mestruazioni più abbondanti dopo l’inserimento. Se stai prendendo l’anticoagulante questo potrebbe esserti già accaduto. La spirale inoltre aumenta leggermente il rischio di sviluppare infezioni al bacino; tutto sommato questo metodo non è proprio l’ideale.
- Esiste una spirale ricoperta di progesterone, chiamata Mirena. Molte donne che la utilizzano sostengono che il loro ciclo mestruale con questo metodo dura soltanto 1-2 giorni. Mirena è un metodo contraccettivo molto affidabile e può durare fino a 5 anni.
Cosa si dice dei metodi permanenti?
- Con i metodi permanenti diventa molto difficile invertire la condizione di sterilità. È meglio informarsi bene e chiedere tutti i consigli necessari prima di imboccare questa strada.
- Il metodo della sterilizzazione maschile o vasectomia non è permesso in Italia. La sterilizzazione femminile richiede un intervento con anestesia generale. Considerando il quadro clinico questo comporta dei rischi, specialmente nei casi in cui il soggetto prende dei farmaci per rendere il sangue più fluido. Alcune pinze bloccano i tubi che vanno dall’utero alle ovaie. Nel lungo periodo con questo metodo non dovrebbero presentarsi effetti collaterali, tuttavia esiste una piccola probabilità di insuccesso.
Esistono altre alternative?
- I metodi che creano barriere, come i preservativi, le capsule o i diaframmi, sono meno affidabili. Devono essere sempre usati con un gel speciale per ridurre il rischio di insuccesso.
Sfortunatamente non esiste un’età minima per chi soffre di IP. L’IP colpisce non solo gli adulti di tutte le età, ed estrazione sociale, ma anche i neonati, i bambini piccoli, e gli adolescenti. Nei più piccoli, però, la prognosi, i bisogni generali, i trattamenti e le indagini richiesti, sono diversi rispetto agli adulti. Nel caso dei bambini con IP comunque i genitori devono diventare il loro avvocato, il loro portavoce e il custode. I sintomi della IP nei bambini sono molto simili a quelli degli adulti, anche se i bambini sono più soggetti a stanchezza, giramenti di testa, senso di mancanza d’aria, e molti di loro hanno svenimenti frequenti, ed inoltre tendo- no a non aumentare di peso. I test utilizzati negli adulti per scoprire la presenza di vecchi coaguli di sangue nei polmoni, nei bambini so- no richiesti raramente. La diagnosi di IP nei bambini può essere tempestiva anche se, come negli adulti, prima di arrivare alla dia- gnosi giusta spesso i sintomi ricevo- no varie interpretazioni errate. La diagnosi errata più comune è quella di asma. L’IP grave è potenzialmente fatale per qualunque paziente. Tuttavia nei bambini, se non viene curata in tempo, essa peggiora in modo più rapido. Il quadro clinico dei bambini inoltre cambia più di frequente, e i medici devono fare osservazioni mirate ed essere pronti a cambiare la cura se il bambino non reagisce bene. Con le dovute cure, comunque, i bambini hanno una pro- gnosi migliore rispetto agli adulti. Nel decennio passato l’approccio è stato più positivo ed aggressivo nella gestione globale dell’IP nei bambini. I recenti progressi della genetica e le nuove conoscenze della biologia cellulare consentono una migliore comprensione della malattia, e le nuove terapie offrono una qualità di vita migliore e maggiori probabilità di sopravvivenza. I bambini rispondono alla terapia allo stesso modo degli adulti, solo che per loro il trattamento dell’IP dura tutta una vita. Le cure prescritte devono essere personalizzate ed aggiustate in funzione della risposta del piccolo paziente.
I bambini hanno bisogno di un monitoraggio costante da parte di personale altamente qualificato, che assi- curi loro risposte costanti e soddisfacenti. Una gestione ottimizzata migliora in modo significativo la qualità di vita e le probabilità di sopravvivenza. Il trapianto dei polmoni è un’opzione che va presa in considerazione nei bambini con IP grave che peggiora nel tempo nonostante le cure più appropriate. Nella maggior parte dei casi, il benessere del vostro bambino è il migliore indicatore su come sta reagendo il suo fisico alla IP. Un bambino con IP può andare a scuola, ballare, fare sport ed andare in bicicletta e, purtroppo, essere birichino ed insopportabile come qualsiasi altro bimbo. Come gli altri (compresi gli adulti), anche lui può trarre giovamento da una dieta sana e bilanciata, e da buoni periodi di riposo. E’ importante fare attenzione, e non permettere ad un medico non specializzato in IP di prescrivere farmaci a vostro figlio; se avete dei dubbi, rivolgetevi al vostro gruppo di specialisti di riferimento. Assicuratevi che anche il suo dentista sappia che è affetto da IP. Non permettete mai a nessuno di somministrare al vostro bambino un’anestesia generale senza aver prima informato l’équipe di specialisti in IP che lo segue, e fate in modo che loro stessi contattino l’anestesista. Le medicine derivate da erbe devono essere usate con cautela, in quanto si sa poco di tali sostanze, e in alcuni casi sono risultate dannose. Inoltre, molti bambini con IP prendono warfarin o altri farmaci che servono a “diluire il sangue”. Questi farmaci potrebbero interagire con altri farmaci comprati al banco senza ricetta medica. Di nuovo, se avete dei dubbi, rivolgetevi al vostro team di specialisti in IP.
Comportatevi normalmente
Quando un bambino è affetto da IP, tutta la famiglia ne rimane coinvolta. Lui stesso, suo padre, sua madre, i nonni e gli altri figli comprensibilmente possono sentirsi stanchi ed al tempo stesso preoccupati della sua malattia. Anche se è difficile, dovete trattare vostro figlio nel modo più normale possibile. Un bambino con IP sarà più felice se le regole rimangono invariate e se la vita va avanti come prima. Si sentirà più sicuro e amato se viene trattato come gli altri. I bambini trattati in modo diverso tendono a comportarsi diversamente, ed un bambino con IP è “diverso” solo per il fatto che è malato. Come qualsiasi altro bimbo malato, anche il vostro ogni tanto avrà dei problemi legati al comportamento che vanno affrontati subito. Ad esempio, quando lasciano l’ospedale i bambini diventano più esigenti, possono essere più bisognosi di affetto, oppure possono riprendere vecchie abitudini come la “pipì a letto”; questa è una reazione normale (in qualche caso si vede anche negli adulti), e dovete aspettarvela. Se ne avete bisogno, chiedete aiuto o consigli al vostro medico specialista in IP. Non dimenticate che se in famiglia avete altri figli potrebbero soffrire per la maggiore attenzione dedicata al fratellino o sorellina. Assicuratevi che anche i vostri amici e parenti non trascurino gli altri bambini della famiglia, e chiedete loro di trattare tutti nella stessa maniera.
Posso ottenere un aiuto extra?
Prendete contatto con un assistente sociale. Potreste avere diritto ad alcuni benefici che vi aiuteranno ad affrontare gli ostacoli. Vostro figlio probabilmente sarà in grado come gli altri di andare a scuola, ma potreste aver bisogno di un aiuto per alleviare le preoccupazioni del personale scolastico sulla sua IP. Le vacanze sono una parte importante nella vita di ognuno di noi, anche se nel vostro caso richiederanno una pianificazione maggiore. Ad esempio potreste dover risolvere alcuni problemi se vostro figlio è in terapia con ossigeno. Le vacanze comunque sono una grande occasione per tutta la famiglia, perché servono ad interrompere lo stress e le fatiche di tutti i giorni. Le vacanze costano, ma non permettete che questo diventi un ostacolo. Chiedete aiuto, non abbiate paura di chiedere.
Sommario
Alcuni bambini con IP hanno parenti con la stessa malattia, anche se questo caso è estremamente raro. La malattia può svilupparsi in bambini di qualsiasi età, maschi e femmine. Alcuni bambini possono anche nascere con l’IP (questo di solito accade quando al momento della nascita non hanno ottenuto ossigeno sufficiente). Non sappiamo perché l’IP colpisca solo alcuni bambini. Potrebbero esistere fattori genetici ereditati da uno dei genitori e/o l’esposizione a qualcosa nell’ambiente. Qualche volta il bambino contrae l’IP in seguito ad un’altra malattia. Ricordate però che qualunque ne sia l’origine, se vostro figlio è affetto da IP, la colpa non è vostra. Non avete fatto niente di sbagliato. Sfortunatamente può succedere. I bambini con una IP non curata sono spesso stanchi, hanno difficoltà di respiro quando fanno esercizio fisico e le loro labbra e le unghie delle mani possono assumere un colore leggermente blu. I bambini si muovono più degli adulti, e dunque i loro vasi sanguigni si rilassano e si contraggono più facilmente; per questo sono più inclini ad avere giramenti di testa e a soffrire di svenimenti. Sul campo di gioco, a scuola, un bambino può avere grandi difficoltà a mantenere il passo con gli altri. Sfortunatamente, se un bambino con IP non viene curato, tende a peggiorare più velocemente rispetto ad un adulto. Ma con le cure adatte, i bambini piccoli possono stare anche meglio degli adulti. Mantenete un contatto stretto con il gruppo di medici specialisti in IP che si prendono cura del vostro bambino. Chiedete loro cosa occorre fare, anche se nascono problemi al di fuori dell’orario normale, ad esempio durante la notte o durante il fine settimana. Assicuratevi che il vostro medico di famiglia sia aggiornato il più possibile sull’IP e, cosa ancora più impor- tante, sulla terapia seguita dal vostro bambino. Discutete della condizione del vostro bambino con la sua maestra, con l’insegnante di ginnastica, con il preside e con il medico scolastico. Lasciate i vostri numeri per le emergenze. Fate sapere agli altri che il vostro bambino deve evitare il con- tatto con le persone malate. Quando girano malattie contagiose voi pretendete di esserne messi al corrente. Chiedete al vostro dottore se è il caso che la scuola abbia sempre dell’ossigeno pronto a disposizione. Nel caso in cui vostro figlio usi una pompa ad infusione continua, visitate la sua classe per rispondere alle domande dei compagni e degli insegnanti sull’uso della pompa. Questo eviterà al bambino di dover dare spiegazioni. Memorizzate sul vostro cellulare il numero del dottore da chiamare per un’emergenza, della baby sitter, o di un familiare che vi può aiutare.
Preparate una lettera, sulla falsariga di questa, che il bambino deve portare sempre con sé: Anche per il bambino non portatore di pompa, è consigliabile avere sempre con sé una lettera con informazioni sulla malattia e sui medicinali, con indicati i recapiti dei genitori e degli specialisti che lo seguono.
INFORMAZIONI MEDICHE IMPORTANTI PER IL BAMBINO ………………………………………………………………………………………. ha una malattia rara, che si chiama IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE, per questo motivo indossa un marsupio o uno zainetto contenente una pompa che eroga la medicina (Epoprostenolo) in infusione continua attraverso un piccolo catetere impiantato nel suo torace. Le altre medicine che prende sono ……………………………………………………………………………………………………………Se ……………………………………. ha dei problemi con la pompa o con il catetere, si presenta una EMERGENZA MEDICA. La sua situazione è molto complessa e noi genitori dobbiamo essere avvertiti immediatamente. Quando la pompa è disconnessa l’ipertensione polmonare rischia di peggiorare in modo molto rapido. Nessuno deve spegnerla per nessuna ragione. Se necessario la medicina può essere infusa per via periferica.
In caso di emergenza, telefonare a :
Nome della madre …………………………. tel …………………………………. tel cellulare ………………………………….. Nome del padre ……………………………… tel ………………………………….. tel cellulare………………………………….. Si può anche chiamare il Dott …………………………………………….. tel …………………………………………………….. Se non dovesse sentirsi bene …………………………………………….. deve poter chiamare immediatamente la sua famiglia. La sua malattia e la terapia alla quale è sottoposto sono complesse e inusuali, ed è probabile che il personale di un pronto soccorso non abbia esperienza con i pazienti affetti da ipertensione polmonare.
Lo specialista che ha in cura ………………………………………….. è il Dott……………………………………….. presso l’Ospedale……………………………………………. Via…………………………………………………………………………………. Telefono ……………………………………………………………….Il medico di famiglia è il Dott…………………………………………………… Via………………………………………………… Telefono…………………………………………..
Vi preghiamo di contattarci per qualsiasi informazione. Cordialmente. FIRMA
– Impara a difenderti. Sii in grado di dire di no quando sei troppo stanco.
– Non sentirti in colpa per la malattia.
– Evita lo stress per quanto è possibile.
– All’inizio della giornata fai una lista delle tue priorità e cerca di seguirla. Non avrai sempre le energie sufficienti per portare a termine tutti i tuoi progetti.
– Impara a conoscere e a rispettare i tuoi limiti, ti semplificherà la vita.
– Risparmia le forze!
– Se devi badare a bambini piccoli fatti aiutare da qualcuno, e prepara un piano di emergenza in caso diminuiscano le tue energie.
– Coinvolgi i tuoi cari nel farti aiutare dove possono, a loro piace sentirsi importanti.
– Non sentirti in colpa se non rie- sci a dedicare ai tuoi figli le energie che vorresti, invece di fare un gioco in movimento raccontagli una favola o falli disegnare.
– Evita di portare pesi, approfitta di tutti gli “aiuti”: persone, carrelli, etc.
– Se l’umidità ti causa difficoltà di respiro, ricordati di aprire la porta/finestra nel bagno onde evitare la formazione di vapore.
– Siediti quando ti fai la barba o ti trucchi.
– Compra un piumino per il tuo letto se non sei allergico, è molto più leggero e facile da usare rispetto alle coperte di lana.
– Dormi con qualche cuscino in più, quelli a forma di “V” sono molto comodi perché danno più supporto. Rende più facile la respirazione durante la notte.
– Se hai un concentratore di ossigeno che fa un rumore fastidioso, fallo spostare fuori dalla stanza da letto.
– Per i lavori domestici utilizza attrezzi con manici lunghi che permettano di piegarti il meno possibile.
– Prendi in considerazione l’acquisto di un ferro da stiro più leggero o un’aspirapolvere con un riavvolgimento automatico.
– Usa una lavatrice che asciuga onde evitare lo stendere dei panni. Anche se sono più costose, potresti evitare di stirarli.
– Utilizza una lavastoviglie per poter risparmiare energie.
– Tieni a portata di mano le cose che utilizzi più spesso in cucina.
– Ci sono delle ditte che forniscono i pasti a domicilio ad un prezzo ragionevole. Prendi in considera- zione l’idea se ti affatichi a cucinare.
– Se hai difficoltà nel piegarti per metterti le scarpe, compra un calzascarpe con il manico lungo.
– Scegli vestiti larghi, sarà più facile spogliarti e vestirti.
– Compra pentole con 2 manici per distribuire meglio il peso.
– Cerca di avere più cose possibili all’altezza del tavolo da lavoro. Se devi sostituire alcune cose in cucina, pensa alle seguenti possibilità: la lavastoviglie posizionata su un
supporto, il forno a microonde sul tavolo da lavoro ed il forno all’altezza degli occhi.
– Preparati una quantità doppia di cibo nei giorni in cui ti senti bene e congelalo.
– Fai più acquisti possibili tramite ordini postali o Internet, molti gran- di magazzini offrono la possibilità di acquistare on-line e consegnano la merce a domicilio; questo ti per- metterà anche di fare gli acquisti di Natale e di provare i vestiti stando tranquillamente a casa.
– Dopo il bagno indossa un accappatoio, aiuta ad asciugare la schiena.
– Usa tappetini antiscivolo nella vasca o nella doccia.
– Programma i numeri telefonici nel telefono di casa o sul cellulare in modo da facilitare la chiamata nei casi di emergenza.
– Usa uno sgabello, preferibilmente alto e girevole, quando stiri o cucini.
– Non farti bagni o docce troppo caldi.
USCIRE E MUOVERSI
– Non superare i 1000 metri di altitudine, potrebbe essere pericoloso per i tuoi polmoni.
– Non smettere di guidare finché è possibile. Ti aiuterà a risparmiare energie.
– Non dimenticare gli occhiali da sole ed il cappello. La luce del sole potrebbe darti fastidio (principalmente a causa di alcuni farmaci).
– Iscriviti a un corso per adulti, alcune strutture organizzano corsi che fanno bene al corpo ed all’anima (corso di pc, corso di ginnastica dolce, arte etc..); sarai molto sor- preso/a dalla gamma di materie disponibili.
– Pianifica la cura che stai seguendo ed assicurati di avere le scorte necessarie, segna su un calendario o su un diario la data per effettuare gli ordini in farmacia.
– Se stai pensando di tornare al lavoro ma non sei certo della tua resistenza attuale, prova prima a fare del volontariato.
– Scegli un’opera benefica che sia di tuo gradimento e partecipa attivamente, potrebbe essere molto terapeutico.
– Prendi in considerazione un lavoro part-time.
– Metti in pratica un progetto che non potevi fare in passato per mancanza di tempo: scrivere, disegnare, cercare di ricostruire la storia della tua famiglia, etc.
– Evita di correre. Camminare veloce richiede uno sforzo 1,5 volte superiore alla camminata normale.
– Richiedi una sedia a rotelle quando visiti le attrazioni turistiche dove occorre andare a piedi (molti Enti nazionali danno la possibilità di prenotarle in anticipo).
– Se vai in vacanza, accertati di avere con te i farmaci necessari. E’ facile dimenticare qualcosa o mettere in valigia le dosi sbagliate. Fatti aiutare.
– Se sei portatore di pompa, è assolutamente sconsigliato fare il bagno.
– Porta una quantità superiore di farmaci per far fronte a ritardi o cambiamenti di programma.
– Tieni una scorta di medicinale in macchina o in borsa lontano dalla portata dei bambini. Avere una scorta di emergenza in macchina ti eviterà di dover tornare indietro una volta iniziato il viaggio.
– Porta sempre con te ben visibile una tesserina con elencati il numero telefonico del tuo specialista, i medicinali che assumi e i recapiti dei tuoi familiari.
– Verifica con il tuo comune di appartenenza se puoi aver diritto ad un parcheggio privilegiato che ti permetterà di lasciare l’auto più vicina alla tua destinazione.
VISITA DAL DOTTORE
– Quando vai dal medico preparati le domande in anticipo. Può esserti utile scriverle per non dimenticare niente.
– Porta sempre con te una lista aggiornata dei farmaci che assumi da presentare al medico.
– Fai il vaccino antinfluenzale annuale e, se è il caso, vaccinati contro la polmonite ma prima consulta sempre il tuo specialista in IP.
– Ai pazienti con IP è spesso sconsigliata l’assunzione di farmaci che contengono un decongestionante, chiedi consiglio al tuo medico.
– Evita di assumere qualsiasi tipo di farmaco di tua iniziativa, anche quelli da banco o i prodotti di erboristeria.
– Consulta il tuo specialista IP prima di affrontare qualsiasi tipo di anestesia, anche locale.
La storia dei test clinici è iniziata nella seconda metà del secolo scorso, grazie al lavoro di alcuni specialisti che cercavano una cura efficace per trattare una malattia polmonare grave, all’epoca inguaribile: la tubercolosi (TBC). Nella prima metà del ventesimo secolo le malattie contagiose erano un vero flagello, ne morivano milioni di persone. Durante la Seconda Guerra Mondiale (1941) fu scoperta la penicillina, che permise ai medici di curare malattie mortali come la meningite, la setticemia e la polmonite. La tubercolosi tuttavia era la malattia più grave in quel periodo, e resisteva anche alla cura di penicillina.
L’evoluzione dei test clinici
Soltanto nel 1950 il Professor Austin Bradford Hill stabilì l’importanza delle statistiche mediche nell’individuazione delle cause di molte malattie. Prima di allora, il giudizio clinico era basato esclusivamente sulle esperienze dei singoli medici. Nel 1950 un farmaco chiamato streptomicina si rivelò efficace contro la tubercolosi in test effettuati in laboratorio. Il Professor Hill era membro di un Comitato incaricato di valutare questo nuovo farmaco. L’efficacia della penicillina non era mai stata testata in laboratorio, anche perché i suoi effetti erano immediati e drammatici. Gli effetti della streptomicina invece non erano così immediati; prima di dimostrarsi efficace questo farmaco doveva essere somministrato per molti mesi. Nel testare l’efficacia della streptomicina, alcuni membri del Comitato proposero di adottare un metodo basato sulla somministrazione del farmaco ai pazienti per valutarne in seguito gli esiti. Il Professor Hill invece propose di somministrare il farmaco ad un gruppo di pazienti, e di confrontare i loro esiti con quelli osservati in un gruppo a cui non veniva somministrato nessun farmaco (gruppo di controllo). Secondo alcuni questo metodo poneva problemi etici importanti, poiché privava alcune persone di una cura potenzialmente benefica. Ad ogni modo, nel periodo post bellico era molto difficile procurare la streptomicina, e l’idea di non usarla in alcuni pazienti fu accettata anche a causa di queste difficoltà. Ebbe così inizio il primo “test clinico randomizzato” Il metodo proposto dal Professor Austin Bradford Hill fu ritenuto corretto, non tanto perché permise di dimostrare il buon funzionamento del farmaco, quanto perché ne rivelò l’inefficacia dopo un certo periodo di tempo. Il test aveva coinvolto 2 gruppi di circa 50 pazienti. Un gruppo aveva ricevuto il farmaco per 4 mesi, mentre per l’altro gruppo il trattamento consisteva nel rimanere a letto a riposo. L’efficacia della cura fu misurata visualizzando una serie di radiografie del torace. Le radiografie furono analizzate da perso- ne che non erano informate della loro provenienza (se da pazienti trattati o non trattati con streptomicina). La sopravvivenza fu utilizzata come misura dell’efficacia del trattamento. Dopo 6 mesi 28 pazienti trattati con il farmaco erano migliorati, e soltanto 4 di loro erano morti, mentre nel gruppo non trattato erano morte 14 persone. Il grande problema della streptomicina dipendeva dal fatto che, dovendo essere somministrata per parecchi mesi, il bacillo della tubercolosi nel frattempo sviluppava una resistenza. 3 anni dopo la fine della cura morirono 32 dei pazienti trattati, esattamente come nel gruppo di controllo. Se il comitato avesse seguito l’approccio proposto inizialmente (somministrare il farmaco a tutti per rilevarne gli effetti successivi), questo risultato non sarebbe stato raggiunto. Fortunatamente in seguito fu scoperto un altro farmaco (acido para- amino salicilico) che aiutava la streptomicina ad agire in modo più rapido, non permettendo dunque al bacillo di sviluppare resistenze. Un altro test randomizzato e controllato fu eseguito per comprovare l’efficacia della cura combinata. Questo nuovo test segnò un punto di svolta nel modo di testare i farmaci, e dimostrò l’importanza e la superiorità delle statistiche rispetto all’esperienza quotidiana dei singoli medici.
Il moderno processo di sviluppo di un farmaco
Oggi lo sviluppo di un farmaco è un processo che ha più fasi, e possono passare anche 15 anni dalla sua scoperta fino al momento in cui è reso disponibile al pubblico. Questo processo è anche molto costoso, perché per ogni farmaco che raggiunge il mercato esistono migliaia di potenziali farmaci che non superano i test nelle fasi iniziali (ad esempio perché dannosi). Comunque, anche questi fallimenti sono parte integrante del processo di scoperta, ed è giusto che siano finanziati. I costi per lo sviluppo di nuovi farmaci possono variare in funzione della loro complessità di produzione, anche se in generale le spese sono più o meno sempre le stesse, e non dipendono dal tipo di malattia da trattare. Le case farmaceutiche tendo- no però a focalizzare i loro programmi di sviluppo su quelle malattie che colpiscono la maggior parte della popolazione, come alcune malattie cardiache, il diabete, l’artrite e l’asma. Per le case farmaceutiche questa è una scelta di investimento. Spesso, grazie ai soldi guadagnati dai farmaci per le malattie più diffuse, si possono sviluppare farmaci per la cura delle malattie rare. Per le malattie come l’IP esistono terapie che sono in fase di sviluppo, anche se attualmente non sono molte. Le case farmaceutiche hanno spesso utilizzato farmaci studiati per curare altre malattie, e li hanno testati per verificarne l’efficacia anche nei pazienti con IP.
La scoperta di un farmaco
Per sviluppare un farmaco adatto a curare una malattia specifica, è necessario avere una chiara conoscenza dell’iter di sviluppo della malattia stessa. Questa fase spesso richiede anni di ricerche che coinvolgono università ed ospedali sparsi in tutto il mondo. Basandosi sulle conoscenze disponibili, le comunità scientifiche cercano poi di studiare strategie per prevenire, curare o eliminare le malattie. Questo processo richiede anche di sviluppare nuovi farmaci. Le cause scatenanti dell’IP non sono ancora molto chiare e, di conseguenza, per le case farmaceutiche rimane difficile trovare cure efficaci per questa malattia. Negli anni più recenti comunque, l’approccio seguito nella cura dell’IP si è basato principalmente sulla convinzione che i vasi sanguigni polmonari producano una sostanza in eccesso che causa la loro ostruzione. Per questo motivo, nella cura dell’IP i ricercatori hanno deciso di usare farmaci che impediscono tale processo. Alcuni di questi farmaci si sono rivelati efficaci: hanno migliorato la tolleranza allo sforzo del paziente, la sua qualità della vita e, in alcuni casi, le sue aspettative di vita.
Gli scopi principali
Lo scopo dei test farmacologici è quello di verificare che il farmaco sia sicuro, efficace e tollerabile. Prima di effettuare prove sugli uomini vengo- no testati sugli animali. Questi test permettono agli scienziati di verificare se i nuovi farmaci pro- vocano effetti collaterali gravi come il cancro, i difetti alla nascita, o se sono addirittura letali. I test inoltre possono fornire informazioni sulla loro facilità di assorbimento e di eliminazione dal corpo.
Dopo aver testato il farmaco sugli animali, e dopo aver dimostrato che non causa nessun danno collaterale importante, iniziano i test sugli uomini che vengono divisi in 4 fasi.
Fase 1
La fase 1 consiste nel provare il farmaco su volontari maschi, normali e sani. Le donne in età fertile normalmente non possono partecipare a questa fase dello studio. Questi test forniscono informazioni sugli effetti collaterali, sul livello di assorbimento e di eliminazione dei medicinali. Ovviamente non danno indicazioni sulla loro efficacia, poiché coinvolgono decine di volontari, e non centinaia o migliaia.
Fase 2
Prima di procedere alla fase 2 o 3, i comitati etici locali sono chiamati a valutare la proposta di sperimentazione per determinare se questa potrà portare dei benefici ai pazienti. La fase 2 consiste nel provare i farmaci su un gruppo di pazienti che hanno una patologia specifica. Lo scopo principale in questa fase è quello di decide- re il dosaggio più sicuro ed efficace per il trattamento. Il farmaco testato viene spesso confrontato con un placebo (un principio non attivo). Questa prassi è seguita per assicurarsi che gli effetti causati dal farmaco siano reali, e non dipendano solo dallo stato d’animo del paziente o dalla sua fiducia in un effetto positivo della cura. Molti pazienti trattati con il placebo, pur non assumendo sostanze attive, sostengono di avvertire dei migliora- menti. In questo caso si parla di “effetto placebo”. E’ probabile inoltre che gli stessi medici siano condizionati oltre misura nel riportare i risultati dello studio, specialmente quando sanno che il paziente sta assumendo un farmaco attivo. Di conseguenza, gli studi vengono condotti con il criterio della “cecità” e definiti in “doppio cieco”. Con questo termine si intende che né il paziente, né tantomeno il medico sanno se la cura proposta è attiva o inattiva. Negli studi in “doppio cieco”, la vera natura del farmaco assunto è contenuta in una busta speciale e sigillata, che il medico deve aprire solo in caso di emergenza.
Fase 3
Se i farmaci risultano efficaci dopo gli studi della fase 2, e se è stato individuato un dosaggio ottimale, si procede alla fase 3. Questa fase coinvolge centinaia di pazienti che hanno in comune una malattia specifica. Lo scopo, di nuovo, è quello di verificare la sicurezza, l’efficacia e tolleranza del farmaco. Questi studi seguono criteri precisi, e i pazienti, per potervi partecipare, devono soddisfare alcuni requisiti. Di solito, devono avere più di 18 anni, non bere troppi alcolici e non avere altre malattie significative, come ad esempio il cancro. Devono essere in grado di capire lo scopo del test, e dare il proprio consenso. Esistono molti altri criteri specifici adottati nei test, che variano per ogni singolo studio. I medici che effettua- no i test hanno importanti responsabilità, e in particolare devono:
- Fornire al paziente informazioni sufficienti per aiutarli a capire ciò che viene loro richiesto;
- Informare il paziente di qualsiasi potenziale beneficio e rischio, e delle opzioni di cure alternative;
- Riportare qualsiasi evento avverso alla casa farmaceutica che sponsorizza lo studio.
I risultati di questi studi sono compilati in un Report dettagliato che viene poi inviato alle Autorità competenti che decideranno per la concessione della licenza di produzione per il farmaco. Questa licenza è essenziale per i medici, in quanto dà loro la possibilità di prescrivere i nuovi farmaci in regime di sicurezza.
Fase 4
Si procede alla fase 4 una volta ottenuta la licenza. Questi studi di solito confrontano i nuovi farmaci con le cure già esistenti e forniscono ulteriori informazioni sulla sicurezza del farmaco.
I test sui farmaci ed il futuro della cura di IP Negli ultimi anni abbiamo registrato un aumento significativo di test clini- ci in fase 3 nel campo delle cure per l’IP. Questi studi hanno seguito tutti un profilo di studio molto simile. I pazienti generalmente vengono trattati per 12-16 settimane con un farmaco attivo o con il placebo, oltre che con una terapia standard. Di soli- to all’inizio (e a volte anche alla fine) dello studio viene eseguito un cateterismo del cuore destro, mentre una serie di altri esami (ecocardiografia, test della marcia, esami di laboratorio) sono eseguiti durante tutto il periodo del test. Al termine dello studio in “cieco”, al paziente viene offerto quello che in gergo è chiamato “l’uso compassionevole del farmaco attivo”. In pratica il medico, dopo lo studio, può curare il paziente con la nuova terapia, spesso finanziata dalle case farmaceutiche, anche se il farmaco non ha ancora ottenuto l’approvazione dal Ministero. Questo rappresenta un indubbio vantaggio per i pazienti, perché permette loro di essere curati con farmaci nuovi anche 12-18 mesi prima della loro messa in commercio. Molti pazienti che in passato, a causa di problemi legati ai finanziamenti, non potevano essere curati con la prostaciclina endovenosa o con l’ilo-prost, hanno avuto comunque la possibilità di provare cure potenzial-mente efficaci, senza dover affronta- re il problema dei costi.
Il ruolo dei centri specialistici IP nei test clinici.
I pazienti che sono interessati a partecipare agli studi clinici devono parlarne con il loro medico del centro specialistico in IP. Coloro che non sono in cura presso uno di questi centri debbono contattare il centro IP più vicino, rintracciabile attraverso le associazioni dei malati. Tuttavia, non sempre i pazienti possono partecipare a questi test. Come abbiamo già detto in precedenza, esistono criteri di selezione molto precisi. Per l’inclusione di un paziente negli studi clinici, è importante delegarne la gestione ad un centro specializzato in IP; i medici specialisti possiedono l’esperienza necessaria a consigliare e a valutare tutte le possibili opzioni per la cura del paziente. Se vi viene proposto di partecipare ad uno studio clinico NON SENTITEVI DELLE CAVIE! Chiedete spiegazioni dettagliate al vostro medico e decidete serenamente se partecipare o no. Ricordate: solo grazie ad altri pazienti che hanno aderito agli studi clinici controllati è stato possibile avere a disposizione cure efficaci nell’IP Il paziente è protetto dalla supervisione dei comitati etici ( non è possibile che venga condotto uno studio senza un’adesione alle regole della “buona pratica clinica” evitando situazioni che possano danneggiare il paziente.
Il futuro nella cura dell’IP
Per i pazienti con l’IP il futuro sta diventando sempre più roseo. Ciononostante c’è molta strada da per correre per comprendere le vere cause dell’ipertensione polmonare primitiva e per produrre farmaci in grado di combattere, o anche di prevenire lo svilupparsi di questa malattia. La storia insegna che le malattie polmonari, una volta ritenute incurabili, possono essere curate e gestite in modo efficace. Il ruolo dei test clinici ha dimostrato la sua importanza vitale in questa lotta, ed anche oggi continua ad essere fondamentale. La ricerca per l’ipertensione polmonare è un campo che promette ulteriori progressi, ed è convinzione di molti che questi progressi potranno derivare dalla combinazione dei vari trattamenti disponibili. Lo stesso approccio fu adottato nella cura della tubercolosi, e si dimostrò vincente. Inoltre, la somministrazione di cure adeguate nella fase iniziale della malattia porterà senz’altro ad un miglioramento generale nella qualità di vita dei pazienti, e dunque ad un effetto ritardante sul progredire della malattia. Purtroppo nella fase iniziale della malattia le cure sono ritardate da fattori che non riguardano tanto lo sviluppo di nuovi farmaci, quanto la poca consapevolezza dei medici, che ad oggi non riescono ad effettuare diagnosi tempestive. Le terapie orali hanno facilitato la possibilità di curarsi dei pazienti, la loro qualità di vita è nettamente migliorata e la sopravvivenza è aumentata. Nuovi studi sono in corso in tutto il mondo e questo permetterà di provare nuove terapie. Anche per questo motivo, è altamente consigliabile rivolgersi ai centri specializzati che hanno acquisito esperienza e sono all’avanguardia sulle cure innovative oggi esistenti. L’importante è non perdere fiducia e speranza e continuare, con coraggio, la nostra avventura. Non siamo soli, lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri familiari, all’associazione e a tutto il personale medico che ci segue lungo il nostro cammino. Lo dobbiamo alla vita!
RINGRAZIAMENTI
Ringraziamo innanzitutto gli amici della PHA-UK (Associazione per
l’Ipertensione Polmonare della Gran Bretagna) che ci hanno generosamente permesso di utilizzare numerose parti del loro manuale “ Understanding and living with pulmonary hypertension” ed il nostro caro socio Joao Do Rosario che lo ha tradotto per noi. I nostri ringraziamenti vanno anche al Dott. Vizza, al Dott. Badagliacca, al Dott. Poscia e alla Dott.ssa Papa del Centro per l’Ipertensione Polmonare del Dipartimento di Malattie Cardiovascolari e Respiratorie (Direttore: Prof. Fedele) del Policlinico Umberto I° di Roma e al Prof. D’Armini del Centro Trapianti del Policlinico S.Matteo di Pavia (Direttore Prof. Viganò). Il loro contributo scientifico è stato determinante per la realizzazione di questo lavoro. Tanti ringraziamenti alla D.ssa Gainotti, sociologa del Policlinico Gemelli, che ci ha aiutato con i suoi suggerimenti e a Thomas Bires, l’artista che ci ha donato le illustrazioni che rallegrano il manuale.
Un grazie particolare alla famiglia e ai tanti amici di Emanuela Savini che hanno voluto che la perdita della loro cara significasse speranza per tanti altri malati.
Il nostro pensiero va a tutti quelli che ci hanno lasciato, perché la loro esperienza ha permesso alla ricerca di progredire, come anche a tutti i malati e familiari che continuano a combattere la nostra battaglia con coraggio e speranza.
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